Cosa resterà del Festival di Cannes 2025?
Tra Palme, abiti che salvano la scena e cinema che non si arrende, luci e scivoloni di un’edizione dove gli uomini hanno brillato sul red carpet e le donne (finalmente) nelle sale
Cosa resta, dopo dieci giorni di red carpet sotto la pioggia, selfie rubati tra le palme e discorsi in più lingue su cosa sia davvero il cinema? Cannes 2025 è stato un festival in equilibrio tra grandi ritorni e nuovi equilibri, tra tappeti rossi pieni di star e film che, invece, hanno lasciato il segno.
Il cinema che resiste (e vince)
A riportare il cuore del festival proprio al centro è stata la Palma d’Oro assegnata a It Was Just an Accident di Jafar Panahi, regista iraniano finalmente presente a Cannes dopo anni di restrizioni e arresti. Il suo film – un noir drammatico punteggiato da momenti paradossali e ironici – parte da un incidente stradale per esplorare dilemmi morali, tensioni sociali, e tutto ciò che accade quando si è costretti a guardarsi davvero allo specchio. Nel premiarlo, nella commozione generale, la Presidente di giuria Juliette Binoche ha dichiarato «Non per le sue opinioni politiche ma per il suo cuore, l’umanità, la libertà ritrovata»
Joachim Trier ha conquistato il Grand Prix della Giuria con Affeksjonsverdi (Sentimental Value), confermando la sua vocazione per il cinema emotivo e lucido. C’erano anche Wes Anderson e Ari Aster, che non hanno ricevuto premi. Così come Alpha, il body horror di Julia Ducournau, rimasto a mani vuote. In compenso, è emersa una nuova generazione di autrici europee (Mascha Schilinski, Hafsia Herzi) che portano sullo schermo personaggi femminili stratificati, fragili, reali.
Star e stile: poche scintille, ma (forse) quelle giuste
Il red carpet di Cannes 2025 è stato, per molti versi, uno dei più piatti degli ultimi anni. Tanta prevedibilità, palette desaturate, silhouette che non osano. Ma tra il beige dominante e il rigore da dress code imposto – che ha vietato le nudità- qualcuno ha salvato la scena. Come quello di Elle Fanning ha riportato una grazia romantica in Chanel azzurro, moderna principessa con il giusto collier Cartier, o Rihanna, che sotto la pioggia ha regalato uno dei momenti più iconici del festival: abito Alaïa celeste, pancione in vista e drappeggi perfetti. E poi: Eva Herzigová in rosa shocking Balenciaga ha portato un tocco teatrale che mancava, Alba Rohrwacher, tra i membri della giuria, ha chiuso in bellezza con un Dior rosa e nero, rigoroso e spiritoso insieme, Dakota Johnson, in Gucci cipria con frange effetto Charleston, ha centrato il punto: brillare, ma con misura e Cara Delvigne in abito nero drappeggiato, guanti lunghi e collana di smeraldi ha rispolverato lo stile diva.
Il nuovo volto del glamour maschile
A brillare sulla Montes de Marches sono stati i look maschili.
Meno smoking standard, più personalità. Dai wet hair in stile anni ’20 di Patrick Schwarzenegger e Rupert Friend, al mullet british rivisitato di Benedict Cumberbatch, fino alle ciocche sapientemente scalate di Tom Cruise, il red carpet maschile ha osato soprattutto nel grooming. Wagner Moura, premiato per L’agente segreto, ha dimostrato che lo stile può (e deve) andare di pari passo con i ruoli che si portano in scena.
Il racconto al femminile
Il femminile, invece, ha illuminato soprattutto nelle sale. Alla guida della giuria Juliette Binoche, affiancata da nomi come Halle Berry, Alba Rohrwacher, Leïla Slimani e Payal Kapadia. La Caméra d’Or è stata presieduta da Alice Rohrwacher, a sancire una direzione culturale chiara e precisa.
Sei registe in concorso, debutti importanti – anche se non hanno convinto tutta la critica- come quello di Scarlett Johansson con Eleanor the Great e ritorni personali come quello di Kristen Stewart con The Chronology of Water, tratto dal memoir cult di Lidia Yuknavitch. C’era anche Fuori di Mario Martone, ispirato a Goliarda Sapienza, che ha messo al centro tre attrici italiane in stato di grazia: Valeria Golino, Matilda De Angelis, Elodie.
Quindi, cosa resta?
Resta l’idea che il cinema d’autore, anche quando si fa politico, anche quando è scomodo, sa ancora emozionare. Resta il ricordo di look azzeccati che, senza strafare, hanno detto qualcosa di chi li indossava. E resta soprattutto la sensazione che Cannes, pur tra alti e bassi, continui a essere un osservatorio privilegiato sul nostro tempo.
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