Mostra del Cinema di Venezia: il ritorno dei grandi attori e film italiani
Due giorni alla fine del concorso: tra Di Costanzo, Maresco e tre grandi attrici, il cinema italiano illumina la Laguna
Mentre l’82esima Mostra del Cinema di Venezia si avvicina alla fine, il cinema italiano si prende spazio, chiudendo con due titoli molto diversi ma entrambi significativi: Elisa di Leonardo Di Costanzo, con una potente Barbara Ronchi, e Un film fatto per bene di Franco Maresco, il progetto incompiuto (forse) su Carmelo Bene, che si trasforma in un’autobiografia corrosiva. Intanto, fuori concorso e nelle sezioni parallele, sono soprattutto le attrici a farsi notare, tra ruoli intensi, fragili e profondamente attuali.

Barbara Ronchi e “Elisa”: un volto che scava
In Elisa, Barbara Ronchi interpreta una donna condannata a dieci anni di carcere per un omicidio inspiegabile — quello della sorella maggiore, bruciata viva. Elisa sostiene di non ricordare nulla, ma un confronto con un criminologo fa riemergere ciò che è stato rimosso. Il film di Leonardo Di Costanzo è una riflessione sulla memoria, la colpa e la possibilità di fare i conti con sé stessi.
«Volevo raccontare chi compie un crimine estremo senza un movente evidente, senza marginalità, senza follia. Solo l’enigma dell’umano», ha spiegato il regista.
Il lavoro di Barbara Ronchi è rigoroso, misurato, carico di tensione trattenuta: un’altra conferma per un’attrice ormai centrale nel panorama italiano.
Tre attrici, tre film, tre modi diversi di raccontare la fragilità
Tra le interpretazioni più apprezzate di questa edizione, spiccano, in tutte le sezioni, anche quelle di Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino e Miriam Leone, in tre film che affrontano temi complessi — dalla maternità all’identità, passando per il peso della memoria.

In Duse di Pietro Marcello, Valeria Bruni Tedeschi presta corpo e voce alla grande attrice Eleonora Duse negli ultimi anni della sua vita. La sua è una performance emotiva e personale, non imitativa:
«Ho sentito un legame intimo con la Duse, come se la sua idea di migliorarsi come persona per diventare artista mi riguardasse da vicino», ha raccontato.
Il film non è un biopic tradizionale, ma un ritratto libero e poetico, in cui la Bruni Tedeschi si muove con sensibilità e ironia.

In La Gioia di Nicolangelo Gelormini, presentato alle Giornate degli Autori, Valeria Golino è una professoressa sola, disillusa, che entra in una relazione ambigua con uno studente, interpretato da Saul Nanni.
Il film racconta senza morbosità la vulnerabilità e il disagio emotivo di due solitudini che si toccano. Golino riesce a restituire un personaggio delicato, spezzato, senza mai cadere nel compiaciuto.

Infine, Miriam Leone è protagonista di Amata di Elisa Amoruso, ispirato a un fatto di cronaca: un neonato lasciato in una “culla per la vita”. Il film esplora, da due prospettive femminili diverse, il tema della maternità non desiderata, del senso di colpa e della libertà di scelta.
«Volevamo rompere il silenzio su esperienze che molte donne vivono e non raccontano: la depressione post-parto, l’abbandono, la pressione sociale», ha detto la regista.
Leone si conferma capace di affrontare ruoli intensi e sfaccettati, con un registro sempre più maturo.
Maschi fragili: tre ritratti fuori dai cliché
Tra i titoli italiani più significativi di questa edizione, emergono anche tre film molto diversi tra loro ma accomunati da una riflessione comune: cosa significa oggi essere uomo? E che forma prende la fragilità maschile in una società che ancora pretende forza, controllo e successo?

In Ammazzare stanca di Daniele Vicari, presentato in Venezia Spotlight, si racconta la vera storia di Antonio Zagari, figlio di un boss calabrese emigrato nel Nord Italia, che attraverso la scrittura in carcere tenta di spezzare il legame con la ‘ndrangheta e con un’identità criminale trasmessa come un’eredità familiare. È un gangster movie atipico, ambientato negli anni '70 tra fabbriche, riti mafiosi e tensioni generazionali, dove il protagonista (Gabriel Montesi) diventa simbolo di un rifiuto possibile, seppur doloroso. Accanto a Montesi, l’attore Vinicio Marchioni.

Diverso ma altrettanto disturbante è La valle dei sorrisi di Paolo Strippoli, thriller psicologico che immerge lo spettatore in un paesino alpino apparentemente felice, dove un ragazzo adolescente è venerato perché capace di assorbire il dolore altrui. Michele Riondino, nei panni di un insegnante esterno e spaesato, cerca di salvarlo, scontrandosi con una comunità chiusa e inquietante. Strippoli riflette sul corpo maschile come spazio di proiezione e sacrificio, in un film che fonde horror, allegoria e critica sociale.
Chiude il trittico Il maestro di Andrea Di Stefano, presentato fuori concorso, con Pierfrancesco Favino in uno dei suoi ruoli più umani e vulnerabili. Interpreta un ex tennista fallito che allena un ragazzino troppo fragile per reggere le aspettative del padre. Il film è un’ode ai maestri imperfetti, a chi insegna non a vincere, ma a perdere con dignità.
«Raramente ho interpretato un personaggio così apertamente perdente. Forse c’è più di me in Raul di quanto pensassi», ha detto Favino.
Dopo l’apertura con La grazia di Paolo Sorrentino, il cinema italiano ha dimostrato in questi giorni di Mostra del cinema di saper osare e rinnovarsi. E illuminare la Laguna con storie potenti che colpiranno il cuore degli spettatori.
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