Due colori segnano questa festa nata pagana e adottata dalla tradizione cristiana, il rosso e il bianco. Rosso come il sangue, bianco come la neve, come si legge nelle pagine delle antiche favole o di remote tradizioni che narrano di lotte tra inverno e primavera, gelo e luce, tra vita e morte, bene e male. Da Biancaneve a Martisor, la leggenda dell’Est Europa, si racconta in fondo la stessa storia. Del rosso, ormai, è stato detto tutto, così come forse del bianco. Ma oggi questo non colore si accende di un valore nuovo, che si riflette dai pantoni alle pagine letterarie, come un mantra che dice e non dice a chi, in questo periodo dell’anno, si mette in ascolto di quelle voci che narrano il futuro che verrà. Così bianco, nella sua versione modaiola, cioè Cloud, è il colore pantone del 2026.
Un colore che promette di tingere di niente abiti, accessori, oggetti e pure piatti cremosi e delicati che evocano le nuvole. Lo avevano già scoperto le case automobilistiche che di quella tinta un po' cangiante hanno venduto decine di migliaia di veicoli nel 2025. E soprattutto l’aveva scoperto l’autrice premio Nobel 2024 Han Kang che con un Libro bianco proprio si è cimentata. La parte di noi che rimane intatta, pulita, indistruttibile, dice la scrittrice nordcoreana. Connotazioni che si allargano a oriente fino a farne il colore del lutto, proprio per quell’immagine di incorruttibile eternità che solo il bianco sa suggerire.
E in un gioco di rimandi di geografie e simboli ecco che diventa il colore del desiderio di un intero popolo che sulla skincare sta costruendo un impero di apparenza. Quel bianco che promettono cosmetici miracolosi e rigorosamente made in Corea. Ci aveva già pensato Chanel negli Anni ‘80 a proporre il suo Blanc, oggi ci sono migliaia di sieri opalescenti e satinati in grado di regalare al volto quella luce che più di tutte significa moderna bellezza. Come siamo lontani dalle terree tonalità degli anni passati. Attenzione, non si tratta di un colore democratico, però, non sta bene a tutte. E chi ha sognato un matrimonio in bianco lo sa bene scoprendosi allo specchio soavemente abbracciata da un riflesso che nessun’armocromista potrebbe consigliare a cuor leggero e che a stento le stylist declinano in mille sfumature avorio più portabili.
Era la tinta della Fracci e di Laura Biagiotti e che oggi indossa spesso Lily Collins. Tutte rigorosamente scure di capelli e candide in volto. Splendide nello stesso bagliore che spegnerebbe qualsiasi bionda o castana che sia. Eppure, tutte lo vogliono, soprattutto per le feste. Brilla e fa brillare, come il Sol Invictus che nei tempi antichi celebrava il primato della luce sulle tenebre. Come gli occhi di perla del re Alonso, nell’immaginifico racconto dell’Ariel shakespeariana. Ma anche come il manto di neve che cade soffice sui vivi e sui morti nelle meravigliose righe finali del racconto The Dead di James Joyce.
Già, il bianco cancella. Lo fa sui compiti sbagliati, sulle occhiaie scure, sui muri segnati dal tempo. In pittura schiarisce, desatura, toglie forza ai colori che diventano meno vividi. E allora prima di iniziare l’anno nuovo facciamo i dovuti scongiuri benaugurali, niente fiera del bianco, niente dieta in bianco, che sia culinaria o altro, niente capelli bianchi a meno che non siano tinti. Lasciamoci il vino, quello si, con o senza bollicine e le pagine, che siano tante e presto, piene di colori.
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