Ci sono figure che attraversano il tempo con la stessa forza di un fotogramma. Una è Julia Roberts in Pretty Woman, cuissardes lucidi e passo sicuro: un’immagine così potente da essere diventata, per anni, la sintesi immediata di cosa fossero questi stivali nella cultura pop. Ma quella rappresentazione – simbolo di una sensualità diretta, quasi dichiarativa – è solo una tappa nella storia degli stivali alti sopra il ginocchio. E soprattutto, è una tappa che oggi si guarda da un’altra prospettiva.
In origine erano stivali maschili, indossati nel Seicento dai cavalieri, dove la funzione era proteggere, non sedurre. È negli Anni ’60, quando la donna comincia a ridefinire il proprio ruolo sociale e visivo, che i cuissardes entrano a far parte del guardaroba femminile. Yves Saint Laurent e Roger Vivier li introducono come estensione della gamba, come gesto di presenza. Non ornamento, ma struttura. Con il passare dei decenni, l’immaginario cambia: negli Anni ’90 si caricano di erotismo urbano, nei Duemila diventano simbolo di glamour esibito.
Oggi ritornano, ma con un linguaggio completamente diverso.
La nuova stagione fredda privilegia silhouette continue, linee che non si interrompono, una femminilità che non cerca di farsi vedere, ma di essere presente con naturalezza, in linea con quel quiet luxury che ha pervaso il linguaggio comune. In questo contesto, i cuissardes non sono più lo stivale che domina il look: sono la sua struttura invisibile. Una colonna, una direzione. L’occhio non si ferma su di loro: scorre.
Questi stivali ricostruiscono la verticalità del corpo senza teatralità. Non amplificano: armonizzano. Ed è attraverso questa misura silenziosa che tornano contemporanei, rispecchiando il ritorno agli Anni ‘90 ma con una nuova interpretazione, meno urlata e più assertiva.
La conferma di questo ritorno rivisitato arriva soprattutto dai brand del lusso, nel modo in cui alcune maison li hanno reinseriti nei loro vocabolari visivi. Stella McCartney li riporta come elemento organico della silhouette, Acne Studios li utilizza per allungare la verticalità dei look, Balmain li reinserisce in una grammatica che alterna rigore e opulenza, Sportmax li interpreta in chiave minimale e grafica, mentre Dolce & Gabbana ne riafferma la presenza attraverso un immaginario più sensuale ma controllato.
Manolo Blahnik punta su suede neutri; Sergio Rossi li interpreta con tacchi misurati; Stuart Weitzman rielabora la sua iconica linea stretch, confermando quanto questo stivale possa essere quotidiano e non eccezionale.
Gli stivali cuissardes funzionano sotto abiti midi in maglia o le gonne in satin, dove l’impalbabilità lascia percepire il gambale; con cappotti lunghi che accompagnano la verticalità senza interromperla; con gonne dritte e camicie asciutte, in un equilibrio che non punta sul contrasto, ma sulla continuità.
Anche la versione con mini-shorts o gonne può essere sofisticata, purché con calze spesse che non spezzino lo sguardo e in abbinamento a maglie over.
Le superfici giocano un ruolo decisivo. La nappa opaca suggerisce morbidezza e naturalità; il suede crea una sfumatura vellutata; la vernice, se usata, deve restare sola, circondata da tessuti silenziosi.
Il cuissardes funziona quando smette di chiedere attenzione e comincia a modellare il ritmo dell’insieme. Sono lo stivale di chi non deve dimostrare niente. Di chi abita la propria immagine senza spiegazioni. Di chi sa che, a volte, l’eleganza più forte è quella che non si annuncia.
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