Cambia capelli, cambia pelle, passa il tempo. Eppure resta sempre lei: autentica, magnetica, fuori dal clamore ma con quell’innata energia capace di generarlo.
Valeria Golino varca la soglia dei 60 anni (li compirà ufficialmente il 22 ottobre 2025), con la stessa grazia inquieta che l’ha portata, dagli anni ’80 a oggi, a costruire una delle carriere più trasversali e affascinanti del nostro cinema – e non solo.
Alla Festa del Cinema di Roma, dove ha presentato Breve storia d’amore (in uscita il 27 novembre), Golino si è mostrata in una doppia versione che ha fatto parlare: di giorno, capelli cioccolato, mossi, voluminosi, con una frangia disordinata e indomita. Di sera, una chioma liscia e vaporosa da dark lady moderna, cornice perfetta al completo di velluto nero firmato Giorgio Armani. Un cambio d’immagine che non è solo estetico, ma anche narrativo: “Ora è un’altra Valeria”, sembrava dire con ogni passo sul red carpet.
Un’evoluzione di stile che arriva alla vigilia di un’età importante, ma soprattutto in un momento di grande attività creativa: attrice, regista, produttrice, sceneggiatrice, Golino si muove con naturalezza in ogni territorio del cinema. Nel 2024 ha vinto il David di Donatello per la miglior sceneggiatura non originale con L’arte della gioia, e ha vestito i panni proprio di Goliarda Sapienza – scrittrice che è stata anche sua insegnante di recitazione, con cui ha affermato di avere una “storia d’amore” intellettuale e di ispirazione- nel film Fuori di Mario Martone.
Nel film Breve storia d’amore, Golino interpreta Cecilia, una donna in crisi di fronte a un tradimento. Un ruolo che le permette di indagare le zone grigie dell’amore adulto, come racconta lei stessa:
«A 25 anni si hanno risposte più radicali davanti al tradimento, si tende a credere nell’amore assoluto. Da giovani, anche se ci si tradisce di più, c’è quella sacralità della relazione che poi, invecchiando, avendo visto e fatto compromessi per vivere e per sopravvivere in coppia, forse non esiste più. Cecilia è coerente, crede in come è giusto vivere, non ha sensi di colpa».
Nata a Napoli nel 1965, figlia di un germanista e di una pittrice greca, cresciuta tra Atene, Roma e l’hotel di famiglia, Valeria Golino è stata scoperta da Lina Wertmüller, che ne ha intuito il potenziale durante una festa. Da lì, un’escalation: Coppa Volpi a Venezia per Storia d’amore (1986), debutto a Hollywood in Rain Man con Tom Cruise e Dustin Hoffman, la consacrazione pop con Hot Shots! e poi l’instancabile oscillare tra cinema d’autore, esperienze internazionali e ruoli iconici.
La sua carriera si è snodata con naturalezza tra Italia, Francia e Stati Uniti, attraversando commedia, dramma, sperimentazione. Con registi come Gabriele Salvatores, Francesca Archibugi, Paolo Virzì, Céline Sciamma. Ha diretto due film profondi e personali (Miele, Euforia) e lavorato con attrici come Jasmine Trinca, Valerio Mastandrea, Riccardo Scamarcio (anche suo compagno per anni).
A sessant’anni appena compiuti, Valeria Golino rappresenta un’idea di eleganza che si è fatta notare per coerenza e autenticità.
«L’eleganza, per me, è avere l’aria di non aver fatto fatica a vestirsi. Non è sciatteria, ma una noncuranza consapevole. Le persone eleganti portano i vestiti, non sono portate dai vestiti».
Un principio che ha attraversato tutta la sua carriera, fin dai suoi inizi. È stata scelta per Rain Man (1988) anche grazie al modo in cui si presentò al provino:
«Indossavo jeans e una maglietta. Mi hanno scelta anche per quello. Cercavano una ragazza vera, senza artifici. Ed è successo anche con Puerto Escondido, con Gabriele Salvatores. È una cosa che accade quando il regista vuole dare più verità al personaggio».
È la stessa eleganza che ritrova nelle sue icone: Katherine Hepburn, Audrey Hepburn, Fanny Ardant, Claudia Cardinale.
« Sono tutte molto diverse da me, ma mi affascina il loro modo di portare i vestiti, di dominarli, senza farsi dominare.». «Cardinale era come un suono. Misteriosa e solare allo stesso tempo. Elegantissima».
Anche quando passa dietro alla macchina da presa, come ne L’arte della gioia, il costume non è mai solo estetica, ma parte della narrazione.
«I colori e le stoffe diventano il paesaggio del film, non solo dei luoghi ma dell’umano».
Sia come interprete che come regista considera il lavoro sui costumi uno dei momenti più importanti sul set.
«In Respiro, quei grembiuli diventavano allegri o tristi a seconda del momento. In Immortal Beloved mi muovevo apposta per far vedere la coda dell’abito. Mi dirigevo da sola per valorizzare il lavoro dei costumisti».
Oggi, guardando indietro, non sembra avere rimpianti. Nemmeno per Pretty Woman, il film che l’avrebbe potuta trasformare in una star hollywoodiana al posto di Julia Roberts.
«Quella storia - di quando sono arrivata al provino e subito dopo è arrivata anche Julia Roberts e ho capito subito che avrebbero preso lei - è diventata un mito. Ma se l’avessi fatta io, forse non sarei qui a fare quello che faccio adesso. Non avrei fatto Miele, non avrei fatto tante altre cose… forse non avrei fatto niente. È andata bene così».
Con due film in uscita – Breve storia d’amore, in arrivo nelle sale a novembre, e Gioia di Nicolangelo Gelormini, applaudito all’ultima Mostra del Cinema di Venezia – Valeria Golino attraversa il tempo senza combatterlo né mascherarlo. E forse l’unico modo autentico per farlo è continuare a fare ciò che da sempre la definisce: recitare, dirigere, stare dentro il cinema. Un mestiere che per lei non è mai stato un ruolo da interpretare, ma un modo per essere se stessa.
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