C’è qualcosa di cinematografico nell’immagine di Lana Del Rey alla sfilata Valentino a Parigi: il viso incorniciato da onde morbide, un abito lavanda in chiffon con piume leggere sulle maniche, e accanto a lei, il marito Jeremy Dufrene, in giacca navy e cappellino logato. È la prima volta che i due si mostrano insieme in front row, eppure la scena sembra appartenere al suo universo da sempre: una bellezza sospesa, fragile e teatrale, che trasforma ogni apparizione in racconto. Nessuna provocazione, nessun gesto studiato per stupire — solo la coerenza di un’estetica.
Mentre il mondo della moda corre, Lana resta. L’abito fluttuante, i colori pastello, il fiocco come punto di equilibrio: ogni elemento del look firmato Valentino pare dialogare con la sua musica, con quel continuo oscillare tra idealizzazione e disincanto che la rende una figura unica nel panorama contemporaneo, un'icona capace di cantare le millemila sfumature dell'amore più intenso e struggente.
Lana Del Rey ha costruito nel tempo un’estetica riconoscibile come una firma. Non segue le tendenze: le anticipa, o le riporta indietro. Il suo guardaroba è un archivio di memorie americane — anni ’50, drive-in, Hollywood decadente, dive dal trucco perfetto e dal cuore spezzato. Fiocchi, pizzi, satin, silhouette femminili che sembrano appartenere a un’altra epoca: in un’industria dominata dal continuo rinnovamento, lei sceglie la ripetizione, l’omaggio, la malinconia. Il suo stile non è revival, ma reinvenzione, è la traduzione sartoriale di un sentimento — quello di chi cerca il bello anche nel dolore. Ecco perché Lana non è mai davvero fuori moda: perché la nostalgia, nelle sue mani, diventa un atto estetico, una forma di resistenza alla frenesia del presente.
C’è un paradosso in Lana Del Rey: la sua coerenza, così anti-trend, è diventata tendenza. Dall’“old money aesthetic” al “coquette core”, fino al “cottagecore” più etereo, molte delle micro-tendenze che oggi popolano TikTok e i moodboard delle nuove generazioni devono qualcosa a lei. Fiocchi, camicie con colletto, cardigan pastello, perle, gonne midi, capelli raccolti con grazia e un velo di malinconia: tutto ciò che oggi viene reinterpretato come romanticismo digitale, Lana lo indossa da più di dieci anni.
La sua influenza si estende oltre la musica e oltre la moda: è diventata una matrice culturale. Non è un caso che i designer la scelgano come ospite o musa silenziosa — da Alessandro Michele, con il quale ha condiviso l’amore per l’estetica gotico-romantica di Gucci, a Pierpaolo Piccioli, che sembra aver colto in lei il desiderio di un’eleganza che non teme la fragilità.
La moda, per Lana Del Rey, non è un accessorio ma una narrazione parallela. I suoi videoclip, i red carpet, le copertine sono tutti capitoli dello stesso romanzo visivo. In Born to Die è una regina tragica con la corona di fiori; in Norman F**ing Rockwell diventa la musa malinconica del sogno americano in disfacimento; nei live più recenti, veste abiti lunghi e impalpabili, spesso bianchi, come se volesse evocare un rito spirituale. Ogni scelta estetica ha un valore emotivo. Il fiocco lavanda di Parigi non è solo un dettaglio di stile, ma la prosecuzione di una poetica: la delicatezza come dichiarazione politica. Nel tempo in cui l’esibizione del corpo e della forza domina le passerelle, Lana propone l’opposto — un ritorno alla vulnerabilità, all’intimità come forma di potere.
Accanto a lei, Jeremy Dufrene — ex guida di tour nelle paludi della Louisiana — è apparso come una presenza semplice, quasi fuori contesto. La sua giacca navy, il cappellino con occhiali da sole “alla rovescia”, sono la negazione del glamour forzato. Ma proprio per questo, il contrasto funziona. Lana e Jeremy insieme rappresentano un nuovo equilibrio: il lusso che incontra la realtà, il romanticismo che trova radici. È come se lei portasse nella couture un frammento di vita vera, e lui portasse nella realtà un’eco di sogno.
Già al Met Gala 2025, Lana aveva conquistato l’attenzione dei media con un look Valentino color avorio, punteggiato da clip a forma di alligatore — un omaggio discreto al marito e alle sue origini nel Sud degli Stati Uniti. La sfilata di Parigi ne è la naturale prosecuzione: stessa casa di moda, stessa regia emotiva. Pierpaolo Piccioli, con la sua sensibilità per la grazia malinconica, sembra essere il sarto perfetto per vestire il mondo interiore di Lana. I suoi abiti diventano una seconda pelle, un modo di raccontare la femminilità senza gridarla, ma facendola vibrare di silenzi e carezze visive.
In un panorama in cui molte popstar cambiano pelle a ogni era discografica, Lana Del Rey resta fedele alla sua visione. Non è solo questione di abiti: è una filosofia estetica. Il bianco, il lavanda, il blu pallido, i capelli morbidi, il trucco vintage — sono gli strumenti di una lingua che parla di romanticismo, di decadenza, di grazia. E mentre il mondo della moda si interroga sul futuro, Lana continua a guardarci dal passato. Ma in quel passato, paradossalmente, sembra esserci la chiave per restare contemporanei: la capacità di sentire, di evocare, di costruire identità attraverso la memoria. E, in un'epoca di luci al neon e tendenze effimere, lei continua a portare il colore della nostalgia e a farlo sembrare couture.
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