C’è un momento, all’inizio del concerto milanese, in cui le luci si abbassano e resta solo la sua silhouette. Un respiro, un movimento, poi la voce. Damiano David non deve più dimostrare nulla: con oltre 900 milioni di stream globali e certificazioni in nove Paesi, è oggi l’artista italiano più ascoltato al mondo. Ma sul palco dell’Unipol Forum di Milano, davanti a migliaia di persone, ha mostrato di essere molto più di un numero: un corpo, un suono, un’estetica.
Dopo due candidature agli MTV VMAs e un invito ufficiale dell’Academy per uno showcase al Grammy Museum di Los Angeles, il cantante romano ha portato in Italia il suo World Tour 2025, che ha già registrato il tutto esaurito in Europa, Australia e Sud America. A Milano, prima delle tre date italiane, ha incantato il pubblico con una performance magnetica, sospesa tra rock e introspezione.
Tra luci ambrate e un palco essenziale, Damiano ha confermato di essere una figura unica nel panorama internazionale: carisma da rockstar, grazia da interprete e una presenza scenica che parla la lingua della moda più che quella della musica. Il momento più sorprendente è arrivato quando Cesare Cremonini è salito sul palco per un duetto inaspettato su La nuova stella di Broadway: due generazioni, due stili, un solo filo conduttore — la capacità di rendere il palco uno specchio dell’anima.
La tappa milanese arriva dopo un tour europeo da record — Londra, Madrid, Parigi, Bruxelles — e precede le date in Australia, America e Asia. Ovunque, la stessa reazione: Damiano non è più soltanto un frontman, ma un artista globale, un’icona contemporanea che fonde musica, immagine e presenza in un’unica, inconfondibile identità.
A Milano, Damiano si è presentato come non lo si era mai visto: elegante, sobrio, magnetico. "Canto da solo non perché con i Måneskin ci odiamo. Volevo capirmi meglio", ha detto rivolgendosi ai giornalisti presenti parlando della sua carriera da solista iniziata lo scorso anno. Poi, quasi con tenerezza, ha aggiunto: "L’Italia è l’unico posto che mi fa cag**e sotto, ci tengo a fare bella figura". Quel dialogo diretto con il pubblico ha segnato il confine tra due fasi della sua carriera. La prima, travolgente e collettiva. La seconda, intima, in bilico tra timore e rivelazione. La voce ruvida, le luci calde, i movimenti precisi: tutto parlava di un artista che ha imparato a sottrarre per essere più vero.
Damiano non ha mai negato l’amore per i Måneskin, la band con cui ha raggiunto la fama mondiale e dalla quale avrebbe preso una pausa. Ma dopo anni di tournée mondiali, set fotografici e dischi da record, ha sentito la necessità di evolversi. "Qualcosa in me si è rotto, ma non l’amore", ha spiegato.
Funny Little Fears, il suo primo album solista, nasce da lì: dal bisogno di capire chi è, fuori dal clamore. In un’intervista ha raccontato che lavorare da solo è stato “come guardarsi allo specchio senza filtri”. E in effetti, sul palco di Milano quella nudità si percepiva. Nessuna scenografia eccessiva, nessuna posa: solo un ragazzo di 26 anni che canta per ritrovare se stesso.
La parabola estetica di Damiano David è un racconto di crescita e di libertà. Dall’esuberanza bohémienne degli esordi, al glam iper-sessuale dei Måneskin, fino alla compostezza raffinata del presente, ogni fase è stata una dichiarazione d’intenti. In lui, lo stile non è mai decorazione: è linguaggio, modo di raccontarsi, manifesto di autenticità. Nei primi anni dominavano le camicie aperte, i pantaloni stretti, i gioielli e il trucco. Poi arrivò il successo internazionale e con esso la stagione del glam radicale, segnata da corpetti, vinile, guanti di pelle e silhouette fluide. È l’epoca di Gucci, quella in cui Damiano — insieme ai Måneskin — diventa volto e simbolo del nuovo corso voluto da Alessandro Michele, fatto di contaminazioni di genere e sensualità liquida. La sua immagine attraversa red carpet e palchi con la forza di una rivoluzione visiva: il corpo come dichiarazione politica, l’abito come gesto di libertà.
Oggi il registro cambia: sul palco del Forum di Milano, Damiano ha scelto due look Emporio Armani e uno Valentino: linee pulite, tessuti lucidi, tagli essenziali. Il corpo resta protagonista, ma con una nuova consapevolezza. È un’eleganza controllata, che parla di misura più che di eccesso, di fascino più che di provocazione. La collaborazione con Diesel e Glenn Martens, culminata in una capsule genderless, segna il punto d’arrivo di questo percorso: una moda che non divide ma unisce, che non traveste ma rivela.
"Non è il capo a essere sexy, ma la fiducia in sé stessi”. Ed è proprio quella fiducia, ora più quieta e piena, a fare di Damiano David uno degli uomini più iconici della scena contemporanea, che oggi veste la libertà come un abito su misura. Sul palco, Damiano è presenza pura. La voce — ruvida, imperfetta, riconoscibile — è solo una parte del magnetismo. L’altra è fisica: la postura, lo sguardo, i gesti calibrati. Anche senza parlare, racconta una storia. La sua è una sensualità nuova, più emotiva che estetica. In questa fase, ha abbandonato l’urgenza di stupire per abbracciare una bellezza più profonda, fatta di equilibrio. In lui, la moda diventa racconto: una grammatica del corpo che traduce in tessuto ciò che le parole non dicono.
Il World Tour 2025 è anche un viaggio estetico. Ogni città, un diverso riflesso del suo immaginario. Dalla Londra post-industriale alla Madrid elettrica, dalla Parigi retrò alla Milano sofisticata, Damiano si adatta e si trasforma, come un attore dentro le proprie scene. Nel nuovo EP Funny Little Fears Dreams — con Tyla, Nile Rodgers e Albert Hammond Jr. — la musica si intreccia alla visione visiva. Ogni brano è un colore, ogni video un quadro. L’intera operazione sembra pensata come un progetto di art direction più che un semplice album. Milano, in questo percorso, è il centro gravitazionale. È qui che Damiano ha mostrato il nuovo sé: elegante, controllato, ma ancora capace di incendiare il palco.
La serata milanese ha chiarito una cosa: Damiano David non è solo una voce o un volto. È un linguaggio. Ha trasformato la vulnerabilità in forza, la moda in narrazione, la paura in arte. Dalla pelle al velluto, dalla rabbia al silenzio, ogni passaggio racconta una metamorfosi estetica e interiore. Il ragazzo che urlava nei club romani oggi incarna una sensualità elegante e universale, un carisma che attraversa i confini della musica. Milano ha visto la nascita di un artista nuovo: non più solo il simbolo di un’epoca, ma il volto di una generazione che sa che la forza non sta nell’eccesso, ma nella consapevolezza.
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