Kim Kardashian seduta a una tavola imbandita con una forchettata di spaghetti al pomodoro sospesa a mezz’aria: è una delle immagini più potenti degli ultimi anni per raccontare l’incontro sempre più strutturato tra moda e cucina italiana. Non è soltanto un set fotografico studiato per la campagna Dolce&Gabbana: è un manifesto. L’idea che l’italianità non passi più soltanto da ricami, silhouette o palette mediterranee, ma dalla tavola stessa, dai suoi riti, dai suoi sapori, dai suoi codici culturali. Da quella scena, costruita come ouverture della collezione “Ciao Kim!”, parte un racconto che oggi assume un peso ancora maggiore, perché arriva dopo l’ingresso della cucina italiana nel patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco. Se la cucina è patrimonio, la moda ne diventa interprete visiva.
Dolce&Gabbana questo concetto lo ha interiorizzato da anni. L’estetica degli agrumi, delle maioliche e delle tavole apparecchiate non è un semplice omaggio nostalgico: è un lessico visivo che porta la cucina al centro dello storytelling del brand. Lo dimostra anche la collaborazione con il Pastificio Di Martino di Gragnano, con cui la maison ha trasformato le confezioni di pasta IGP in oggetti di design: latte, box, pacchi decorati con illustrazioni e pattern mediterranei, veri “prodotti moda” che dialogano con il valore simbolico della pasta nella cultura italiana. Un alimento quotidiano che diventa icona estetica.
Nello stesso solco si inserisce l’intuizione di Fendi, che nel settembre 2020 ha inviato agli ospiti della sua sfilata un pacco di Pasta Rummo personalizzato come invito. Un gesto pop, capace di trasformare un oggetto domestico in un biglietto d’accesso al lusso romano. In un momento storico segnato dal ritorno alla cucina casalinga, la moda consegna agli addetti ai lavori un simbolo autentico dell’Italia che resiste: grano, territorio, tradizione, un ideale invito a riconoscere che il glamour può nascere anche da un pacco di pasta.
A rendere tutto questo ancora più tangibile sono gli accessori. La Tortellino Bag di Federico Cina, borsa cult che ricalca la piega perfetta del tortellino romagnolo, è un esempio contemporaneo di come la forma di una pasta possa diventare architettura di design. Lo stesso vale per la Spaghetti Clutch di Moschino, con fili di pasta tridimensionale che scendono dal corpo della borsa: un pezzo ironico e teatrale che ribadisce come la cultura gastronomica italiana sia un patrimonio pop, immediatamente riconoscibile e trasformabile in racconto fashion.
Accanto ai simboli, ci sono i luoghi. Negli ultimi anni le grandi maison hanno investito in bar e ristoranti per trasformare la cucina in parte integrante dell’esperienza del marchio. A Milano, Fondazione Prada ospita al piano terra il Bar Luce, progettato da Wes Anderson nel 2015: un bar che ricrea l’atmosfera dei vecchi caffè milanesi, con arredi in formica, boiserie e colori pastello, pensato come luogo in cui vivere l’estetica Prada anche attraverso un cappuccino o un tramezzino.
Al sesto piano dello stesso complesso, il Ristorante Torre, progettato da Rem Koolhaas, unisce arte contemporanea (con opere, tra gli altri, di Lucio Fontana e Jeff Koons) e alta cucina, offrendo una vista sulla città che trasforma la cena in un’estensione dell'azienda: design, cultura, convivialità. Sempre a Milano, il sistema Armani lavora da anni su questa dimensione con la triade Emporio Armani Ristorante, Armani/Ristorante all’Armani Hotel e Nobu Milano, dove lo stile minimalista del marchio si fonde con una cucina giapponese e fusion che integra ingredienti italiani. Qui il Quadrilatero della moda coincide fisicamente con un distretto gastronomico in cui la tavola diventa parte del lifestyle di alta gamma oltre che, come si celebra oggi, orgogliosamente patrimonio dell'umanità.
A Firenze, Gucci Osteria da Massimo Bottura ha codificato forse meglio di chiunque altro la fusione tra brand di moda e cucina d’autore: un ristorante stellato Michelin nel cuore di piazza della Signoria, dove piatti come “Viaggio a Modena” (tortellini in crema di Parmigiano) o gli spaghetti ai cinque pomodori reinterpretano la tradizione italiana con tecniche internazionali, dentro un contenitore dal forte impatto visuale firmato Gucci.
Questo ecosistema che passa dalle campagne ispirate ai mercati siciliani agli allestimenti in vetrina pieni di cassette di agrumi, dalle borse a forma di pasta alle sfilate ambientate su tavole imbandite non è casuale. Negli stessi anni in cui la cucina italiana viene riconosciuta patrimonio Unesco per i suoi valori di sostenibilità, stagionalità, rispetto della biodiversità e riduzione degli sprechi, la moda italiana celebra il cibo con una narrazione parallela e intrigante: recupero dei materiali, artigianalità, filiere locali, memoria dei gesti antichi, ma anche sapore e colore inconfondibile delle nostre materie prime. E così, quella foto di Kim Kardashian con un piatto di spaghetti diventa qualcosa di più di un’immagine virale: è la sintesi di due mondi che condividono le stesse radici.
La cucina italiana, ora patrimonio dell’umanità, offre alla moda un repertorio infinito di forme, colori, storie e valori. La moda, dal canto suo, restituisce al cibo un’aura simbolica e globale, trasformando la tavola in passerella e il patrimonio gastronomico in linguaggio estetico. Insieme costruiscono un nuovo immaginario: la moda che sa di cucina, la cucina che parla la lingua della moda, l’Italia che continua a raccontarsi al mondo attraverso ciò che fa meglio: nutrire, creare, affascinare, in tavola come su una catwalk.
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