Sul red carpet di oggi brilla Amanda Seyfried, accanto a Dwayne Johnson ed Emily Blunt, mentre il momento più emozionante è la consegna del Leone d’Oro alla carriera a Kim Novak, icona assoluta di Hollywood.
Amanda Seyfried si presenta in conferenza stampa con un outfit minimal composto da blazer, camicia e jeans, firmato Versace by Dario Vitale. Un look già visto qualche giorno fa addosso a Julia Roberts.
Un “fashion clash”? Niente affatto. Amanda e Julia sono grandi amiche e hanno trasformato questa coincidenza in un gesto di amicizia e sostenibilità. «Grazie per aver condiviso il tuo look», ha scritto Amanda su Instagram taggando Roberts. Un modo ironico e concreto per dire che anche ad Hollywood si può parlare di riuso consapevole senza rinunciare all’eleganza.
Un messaggio di sostenibilità rivoluzionario per il festival.
Seyfried ha scelto il look Vitale per il photocall e la conferenza del film The Testament of Ann Lee, diretto da Mona Fastvold.
Un’opera che si annuncia tra le più sperimentali del Festival: una riscrittura immaginifica della vita di Ann Lee, leader religiosa del Settecento e fondatrice degli Shakers, che predicavano attraverso canti e movimenti estatici.
Fastvold ha spiegato così il progetto:
“Non mi interessa la fede in sé, ma la sua urgenza di giustizia, trascendenza e grazia comunitaria.
Ann Lee cercava di costruire una nuova utopia, e in questo riconosco lo stesso impulso che muove ogni atto creativo: plasmare il mondo di nuovo.”
Un film che parla di spiritualità, arte e rivoluzione interiore: probabilmente il titolo più audace visto finora al Festival.
“La donna che visse infinite volte”: così è stata definita Kim Novak, icona del cinema e figura ribelle capace di sfidare le convenzioni di Hollywood negli anni Cinquanta e Sessanta.
Protagonista di film che hanno fatto la storia, da Vertigo di Hitchcock a commedie romantiche e noir, Novak non ha mai accettato di piegarsi alle regole dello star system, pagando di persona le sue scelte anticonformiste.
Dal rapporto osteggiato con Sammy Davis jr. in piena epoca di segregazione, al rifiuto di cambiare nome imposto dagli studios, Novak ha sempre preferito rischiare piuttosto che perdere la propria identità. Dopo l’addio al cinema negli anni Settanta, ha trovato una seconda vita nell’arte, nella pittura e nella musica, affrontando con coraggio anche la diagnosi di disturbo bipolare e le sfide della malattia.
A Venezia, il Leone d’Oro non premia soltanto la diva di Vertigo, ma una donna che ha attraversato il Novecento mantenendo intatta la propria integrità. Una parabola che oggi risuona fortissima: il cinema come scelta di libertà, la carriera come affermazione di sé.
Approda in Mostra con una semplice maglia nera Dwayne Johnson, tra i più attesi del festival.
Superstar del wrestling e oggi attore acclamato, che a Venezia concorre alla Coppa Volpi – il riconoscimento come miglior interpretazione- con una prova che segna una svolta nella sua carriera: interpretare il lottatore di MMA Mark Kerr – presente in conferenza e salutato con affetto dalla stampa- nel film The Smashing Machine, diretto da Benny Safdie.
Il film racconta la parabola del campione di MMA negli anni ’90, soprannominato “la macchina distruttrice”: un uomo imbattibile sul ring, ma fragile nella vita privata, diviso tra dipendenze e l’amore complesso con la compagna Dawn Staples, interpretata da Emily Blunt. Non un semplice biopic sportivo, ma un viaggio nelle contraddizioni di un uomo che sembrava invincibile e che invece lottava soprattutto contro se stesso. Una riflessione sull’essere un campione e sulla mascolinità, raccontata da Safdie con delicatezza.
“Non è un film sulla lotta,” ha dichiarato Johnson in conferenza stampa. “È una storia d’amore, la battaglia interiore di un uomo che aveva paura come tutti. Forse la mia migliore performance.” L’attore ha raccontato la trasformazione radicale affrontata sul set: oltre tre ore di trucco al giorno, più di dieci protesi, fino a scomparire del tutto dietro il personaggio. “All’inizio ero spaventato, ma davanti allo specchio non vedevo più me stesso, vedevo Mark Kerr.”
Accanto a lui, Emily Blunt ha sottolineato la forza del suo personaggio: “Dietro un campione c’era una donna che viveva i rischi di quella vita. Portarla sullo schermo è stato emozionante. La prima volta che ho visto Dwayne trasformarsi siamo rimasti tutti in silenzio.”
Safdie, dal canto suo, ha voluto mettere in scena non solo lo sport ma il contesto di quegli anni: “Negli anni ’90 le arti marziali miste erano sperimentali, internazionali, eppure contraddittorie. Ho voluto mostrare che anche gli eroi sanguinano come tutti.”
Dopo Jay Kelly con George Clooney e Il Maestro con Pierfrancesco Favino, un altro film alla Mostra riflette sulle contraddizioni del successo e sul valore dell’esistenza anche se non porta necessariamente alla vittoria.
“Mark lottava per sopravvivere e per guadagnarsi da vivere- ha affermato Johnson- Alla fine capisce che, dopo aver combattuto contro le dipendenze e nel suo rapporto d’amore, non ha ottenuto davvero ciò che desiderava. Perde tutto, ma accetta che sia così: la vita continua, e bisogna andare oltre.”
Infine, l’attore ha ricordato, commosso, suo padre, il wrestler Rocky Johnson (Wayde Douglas Bowles, 1944-2020), leggenda del ring negli anni Settanta e Ottanta:
“A ispirarmi è stato anche mio padre, che ha usato tutte le sue forze per ottenere quello che voleva. Così come ha fatto Mark.”
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