C’è un’estetica nuova che sta entrando nelle cucine d’autore: quella del cibo circolare. Una filosofia che trasforma lo scarto in risorsa, che fa del recupero un gesto creativo e del rispetto per la materia prima un atto quasi poetico. È un modo di cucinare che non riguarda solo la sostenibilità, ma l’atteggiamento con cui si guardano gli ingredienti e le loro possibilità.
Negli anni, la sensibilità di pubblico e chef è aumentata e così, di pari passo con ricette stellate realizzate con ingredienti "poveri", sono aumentate anche le proposte di piatti gourmet realizzati con materie prime che fino a poco tempo fa venivano snobbate o gettate via.
A Milano, uno dei suoi interpreti più emblematici è Diego Rossi, chef di Trippa a Milano, che ha riportato al centro della scena gastronomica il quinto quarto. Trippa, midollo, lingua, cuore, rognone: ingredienti umili che nelle sue mani diventano piatti iconici, intensi, capaci di una compostezza del tutto inattesa. La sua cucina è un manifesto di autenticità: niente filtri, niente scorciatoie, solo tecnica, coraggio e una visione che rivaluta il valore culinario di ogni parte dell’animale. È anche per questo che Trippa è diventato un indirizzo di culto, un luogo dove il recupero non è solo una scelta etica, ma un modo di raccontare la verità del cibo.
Una stessa logica di circolarità - ma applicata al mondo vegetale - è protagonista anche nella cucina di Mario Di Giovanni, chef del ristorante del Castello di Semivicoli (in provincia di Chieti) il wine resort di Masciarelli Tenute Agricole. Qui è l’orto a dettare il ritmo, insieme alle erbe aromatiche e alle piante spontanee che crescono intorno alla tenuta. Dalla sua esperienza all’Accademia e al Ristorante Reale di Niko Romito, Di Giovanni ha maturato un’attenzione quasi assoluta per la materia prima vegetale. I ritagli vengono trasformati in fondi e riduzioni, ma è sulle verdure che il suo pensiero prende forma, soprattutto in piatti come il cavolo servito in purezza, accompagnato da una glassa ottenuta dagli scarti della stessa verdura: un esempio perfetto di come il riuso possa diventare estetica. “Nella mia cucina nulla si spreca – ha spiegato lo chef - ogni parte dell’ingrediente può diventare gusto. È questo, per me, il senso del cibo circolare”.
A celebrare il mondo vegetale è anche Edoardo Tizzanini, resident chef al DaV by Da Vittorio Louis Vuitton di Milano, che ha vinto la S.Pellegrino Young Chef Italia 2025 con un carciofo da applausi. An Artichoke Heart è una ricetta che sovverte le regole gustative, trasformando l’ortaggio in protagonista e facendo diventare la proteina della carne, qui le frattaglie di piccione, un contorno della portata, insieme a pane croccante, barbabietola e rabarbaro. Una creazione che riduce lo spreco, utilizzando tutte le componenti del carciofo, in diverse consistenze: confit, in crema e con foglie croccanti. Un esercizio non solo di stile quindi, ma un nuovo modello di concepire il fine dining, capace di equilibrare tutte le parti in gioco nel piatto e guardando sempre più alla sostenibilità culinaria come motore dell’innovazione in cucina.
Un approccio che trova eco anche nel lavoro di Lisa Casali, pioniera del “no waste” e autrice del volume “Il grande libro delle bucce”. Tra le sue ricette, una delle più sorprendenti è la torta con tutta la zucca, realizzata utilizzando polpa, semi, scorza e perfino i filamenti. Un dolce che dimostra, ancora una volta, come lo scarto sia solo una questione di prospettiva. Perché il cibo circolare è questo: un invito a guardare l’ingrediente nella sua interezza e a scoprirne la bellezza nascosta. Una bellezza che, in cucina, può diventare gusto, racconto e visione.