Due donne, due attrici, due leggende. Eleonora Duse e Sarah Bernhardt, le più grandi interpreti teatrali tra Ottocento e Novecento, tornano a vivere oggi in una sorprendente sincronia culturale: al cinema, nelle sale d’arte, nella moda. E non come reliquie del passato, ma come icone attualissime di libertà, trasformazione e visione.
Due film – Duse di Pietro Marcello e La divina di Francia di Guillaume Nicloux (ora nelle sale) – ne rileggono le vite in modo radicalmente diverso. Entrambi però mostrano come la loro presenza scenica sia ancora oggi un modello alternativo di femminilità: colta, inafferrabile, teatrale e fluida. In parallelo, a Roma, la mostra “Alphonse Mucha. Un trionfo di bellezza e seduzione” restituisce la forza visiva della Bernhardt come musa dell’Art Nouveau. E nel mondo della moda, quella stessa estetica bohémien e visionaria ritorna in forme nuove, ibridate, contemporanee.
Erano donne fuori formato, pioniere inconsapevoli della performance come identità, antesignane di una femminilità ribelle e spettacolare.
Complementari, quanto nemiche. Entrambe hanno scritto un nuovo alfabeto dell’arte, in cui l’identità femminile si declina come espressione e non come modello.
Il loro fu anche uno scontro tra due mondi.
Bernhartdt, elegantissima, sofisticata, androgina, vera incarnazione della donna Art Nouveau, curava ogni dettaglio della propria immagine con strategia e seduzione. Duse, invece, naturale, insofferente al trucco e ai costumi elaborati, cercava la verità emotiva, spogliando il teatro di ogni artificio.
Nel film Duse, Pietro Marcello mette in scena una diva stanca e ancora inquieta, tornata a recitare dopo anni di silenzio, in un’Italia post-bellica che ha smesso di riconoscerla. Valeria Bruni Tedeschi incarna una Duse lucida, irrisolta, dolente: non una figura mitica, ma una donna che continua a mettersi alla prova. Nel film francese, Sarah Bernhardt è tutta scena e strategia. Vive tra boa esotici, animali domestici improbabili e battute taglienti. È sempre “in parte”. Ma sotto lo scintillio, emerge la figura di una donna che ha usato l’eccesso come linguaggio e l’immagine come potere.
A riportare alla luce la potenza iconografica di Sarah Bernhardt è anche la mostra “Alphonse Mucha. Un trionfo di bellezza e seduzione” (a Palazzo Bonaparte, Roma, fino all’8 marzo 2026) che presenta oltre 150 opere dell’artista ceco, tra cui tutti i suoi celebri manifesti teatrali. Il più noto, Gismonda (1894), fu realizzato quasi per caso: Bernhardt aveva bisogno urgente di un nuovo manifesto e trovò in Mucha un artista sconosciuto e disponibile. Il risultato fu una rivoluzione visiva.
Mucha non si limitò a ritrarla: reinventò la sua immagine. La raffigurò ieratica, divina, floreale, quasi ultraterrena, in abiti bizantini, circondata da motivi vegetali e linee sinuose. Il suo nome campeggiava in cima, più grande del titolo stesso: Sarah era lo spettacolo. Il successo fu tale che la collaborazione proseguì con Médée, Hamlet, Lorenzaccio, La Tosca e altri capolavori oggi in mostra. Attraverso Sarah, Mucha costruì l’icona femminile Art Nouveau: una figura forte, eterea, sensuale, autonoma. E con lui, Bernhardt divenne musa e stratega della propria immagine, capace di usare l’arte come strumento di comunicazione (e seduzione).
La mostra, curata da Elizabeth Brooke e Anna Maria Bava, esplora anche il dialogo tra Art Nouveau e la storia dell’arte, con opere archeologiche, ottocentesche e capolavori come la Venere di Botticelli (prestata dai Musei Reali di Torino) in un ponte simbolico tra Rinascimento e Belle Époque. Un viaggio visivo che racconta come la bellezza, quando diventa pensiero, attraversi i secoli.
Nel boho-chic che attraversa le collezioni dell’Autunno/Inverno 2025-2026 – tra pizzi, velluti, mantelle, drappeggi, stampe floreali e accessori rétro – si riflette una memoria visiva che viene da lontano: quella della Belle Époque, dell’Art Nouveau e delle grandi dive come Sarah Bernhardt ed Eleonora Duse.
Bernhardt trasformava ogni abito in manifesto: flessuosa, sensuale, teatrale. Duse, al contrario, elevava l’essenziale, con una grazia più interiore e spirituale. Due icone opposte, ma entrambe moderne: donne che vestivano la propria libertà.
Oggi, come allora, la moda è un linguaggio: ogni look è una dichiarazione. La donna boho-chic contemporanea non cerca la perfezione, ma la propria interpretazione, anche grazieal vintage e al recupero della moda del passato.
Una donna nomade, simbolica e visionaria. E che, come le dive di un tempo, rifiuta ogni cornice.