Non sono semplici manifesti, sono dichiarazioni culturali. Alla Triennale di Milano, Olimpia Zagnoli e Carolina Altavilla hanno presentato gli Iconic Posters ufficiali dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali di Milano Cortina 2026, rinnovando una tradizione visiva che, da oltre un secolo, definisce il modo in cui un Paese immagina se stesso davanti al mondo.
Un progetto curato da Damiano Gullì per Triennale Milano che riafferma un punto chiave: le Olimpiadi non iniziano con la cerimonia d’apertura, ma con un’immagine, un atto identitario. Zagnoli — tra le illustratrici italiane più influenti a livello internazionale, amata per la sua sintesi ironica ed emotiva — restituisce lo spirito Olimpico attraverso un’immagine vibrante e inclusiva, in cui Milano e Cortina sono due polarità che dialogano tra urbano e naturale, energia e contemplazione. L'illustratrice e designer italoargentina Altavilla, con un linguaggio essenziale e contemporaneo, costruisce invece il manifesto paralimpico come un atto comunitario netto: “We participate as a community”.
L’idea che un’Olimpiade debba essere rappresentata da un’immagine ufficiale — un manifesto capace di racchiuderne l’identità visiva, i valori fondanti e l’orizzonte simbolico — prende forma per la prima volta in un poster in occasione dei Giochi Olimpici invernali di Chamonix del 1924. In quella fase pionieristica, l’immagine selezionata assumeva un ruolo ancora fortemente illustrativo, segnato dallo stile decorativo della Belle Époque ormai al tramonto, e si inseriva perfettamente nel contesto di un immaginario romantico e idilliaco, più vicino alla promozione turistica delle località montane che a un’effettiva narrazione sportiva.
Il manifesto non fungeva soltanto da supporto promozionale, ma rifletteva anche la visione culturale dell’epoca, in cui lo sport si intrecciava con il sogno della natura incontaminata, del paesaggio alpino e di un’élite cosmopolita attratta dal fascino delle località sciistiche. Era l’inizio di un percorso che avrebbe portato, nel tempo, a una sempre maggiore consapevolezza del valore comunicativo dell’immagine olimpica, trasformandola in strumento potente di racconto e identità.
Con il poster olimpico Lake Placid 1932 — e in misura ancora più marcata rispetto all’edizione precedente — il linguaggio grafico del manifesto dei Giochi comincia a trascendere la semplice funzione illustrativa per assumere una dimensione apertamente politica e ideologica. L'immagine ufficiale non è più solo una vetrina estetica dell’evento, ma diventa uno strumento strategico di affermazione identitaria e propagandistica.
Le nazioni organizzatrici, attraverso scelte stilistiche, cromatiche e iconografiche, rivendicano un ruolo di protagonismo sulla scena internazionale, presentandosi come simboli di modernità, progresso e forza economica. In particolare, si assiste a una sublimazione dell’“alpinità” come valore culturale: le montagne non sono più solo sfondo naturalistico, ma metafora della conquista, della resistenza e della superiorità fisica e spirituale.
Allo stesso tempo, l’estetica industriale comincia a farsi strada, con richiami a dinamismo, velocità, energia meccanica: elementi che riflettono l’orgoglio delle giovani potenze industriali e la volontà di associare l’evento olimpico a un’idea di nazione efficiente, organizzata e tecnologicamente avanzata. È un passaggio chiave nella storia della comunicazione visiva dei Giochi, che segna l'inizio dell'intreccio sempre più stretto tra sport, ideologia e narrazione nazionale.
Dopo la Seconda guerra mondiale, il poster dei Giochi Olimpici invernali di Cortina d’Ampezzo del 1956 rappresentano un momento di svolta radicale nell’evoluzione dell’immagine ufficiale dell’Olimpiade: è qui che nasce il primo manifesto moderno dei Giochi invernali, un’opera che si distacca in modo netto dalla tradizione illustrativa del passato e abbraccia con decisione i linguaggi visivi del contemporaneo.
La composizione si distingue per una geometria rigorosa ma elegante, linee essenziali, colori chiari e luminosi che evocano aria, neve e leggerezza. Lo stile è caratterizzato da sobrietà, equilibrio formale e un’evidente attenzione al design grafico inteso come espressione culturale autonoma, non più subordinata alla mera funzione pubblicitaria. Si tratta di una sintesi visiva raffinata, che fonde modernismo europeo e sensibilità locale, capace di parlare al mondo intero pur conservando una forte impronta nazionale.
Quel manifesto, oggi ristampato nei bookshop dei più importanti musei di arte e design, è considerato una vera e propria icona. Studiato nelle accademie, collezionato dagli appassionati, quasi venerato, segna il primo momento in cui l’arte grafica entra a pieno titolo nell’identità olimpica, trasformando l’immagine dell’evento in un’opera culturale duratura. Non si tratta più solo di promuovere i Giochi, ma di costruire un’immaginario simbolico, capace di raccontare — attraverso linee e colori — un’epoca, un Paese, un'idea di futuro.
Il vero salto culturale arriva però con Grenoble 1968: il manifesto di Jean Brian introduce un’estetica tipografica razionalista, figlia del graphic design svizzero. È il primo poster olimpico che sembra più vicino al Bauhaus che a un poster turistico e non vende neve, vende modernità. Il gioiello della grafica olimpica, però, resta Monaco 1972 — pur essendo edizione estiva — firmato da Otl Aicher: l’invenzione dell’identità olimpica modulare, del blu come colore internazionale dello sport, delle icone universali ancora oggi usate: un evento culturale quasi più che sportivo di cui tutti i manifesti successivi portano l’ombra.
Negli anni ’90, con Albertville 1992 e poi con Nagano 1998, dominano la sintesi e la calligrafia orientale contemporanea: minimalismo grafico, evocazione poetica, gelo rarefatto. Il poster di Nagano, con quel segno-fiore astratto che richiama il movimento atletico, resta uno dei più collezionati di sempre.
Con Torino 2006, l’Italia segna un nuovo punto di svolta. Il manifesto ufficiale — un paesaggio montano sintetizzato in sfumature digitali azzurre — parla di tecnologia, soft power e italianità rilanciata. Non folklore, non cartolina alpina: una nazione contemporanea. È il primo poster olimpico pensato già per esistere in parallelo sui media digitali, su schermi, su pixel. Con Vancouver 2010 e soprattutto PyeongChang 2018, arriva la piena globalizzazione estetica: manifesti limpidi, quasi spirituali, calibrati per diventare iconici su qualunque device. Beijing 2022 chiude il cerchio con un linguaggio iper-digitale, persino astratto, iper-levigato: la fisicità della pittura manuale cede definitivamente alle estetiche liquide dei sistemi algoritmici.
In questo contesto, Milano Cortina 2026 rappresenta qualcosa di inatteso: un ritorno all’autorialità, alla mano artistica riconoscibile, alla forza espressiva dell’illustrazione intesa come atto culturale, non decorativo. Olimpia Zagnoli e Carolina Altavilla portano nel poster olimpico e paralimpico un linguaggio personalissimo e insieme popolare, adatto a un mondo iperconnesso, ma sempre più in cerca di autenticità. Non un’immagine stock, non un template internazionale, ma un’immagine con anima che parla d’Italia senza evocare l’Italia come cliché.
Un gesto profondamente contemporaneo e profondamente identitario. Il vero significato dei manifesti olimpici, oggi come nel 1924, è tutto qui: non raccontare i Giochi, ma raccontare l’immaginario di chi li ospita. E Milano Cortina — con l’arte prima dello sport — ha scelto di farlo da protagonista.
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