È vero, la fotografia è nata per documentare, ma ha finito per raccontare molto più di quanto registri. Ha conquistato la legittimità artistica passando dall’essere strumento tecnico a linguaggio estetico autonomo. Diversi critici d’arte come Achille Bonito Oliva e Germano Celant l’hanno implicitamente riconosciuta come arte del pensiero, non del mezzo. L’idea conta più della macchina. Il critico tedesco, e anche un po’ filosofo, Walter Benjamin ne aveva denunciato la perdita d’aura, intendendo con aura quell’unicità irripetibile che distingue l’opera d’arte dalla sua copia. Ma proprio l’edizione limitata e la certificazione hanno restituito alla fotografia una nuova aura, una forma di autenticità costruita. La critica americana Susan Sontag ha spiegato, infatti, che ogni scatto trattiene un frammento di tempo, un’elegia sullo scomparire delle cose. Per questo la fotografia si colleziona: perché conserva, con precisione e malinconia, ciò che l’occhio umano dimentica. È artigianato e concetto, tecnica e poesia fissate su carta.
Oggi tre autori italiani ne dimostrano la vitalità: Nicolò Quirico con le sue visioni sospese tra realtà e memoria, Angelo Ferrillo che cattura la vita urbana come gesto etico, e Marco Gaiotti, testimone della maestà naturale che sopravvive all’uomo. Tre direzioni, un’unica certezza: la fotografia è arte, e come ogni arte va abitata, contemplata e collezionata.
Nicolò Quirico è un artista che attraversa la fotografia come un alchimista attraverserebbe la materia: per trasformarla. Le sue opere nascono da un gesto duplice e meditato: prima fotografa le architetture, poi le stampa su pagine di libri antichi, fondendo così la città e la memoria in un’unica superficie visiva. Da lontano le immagini appaiono come vedute composte, rigorose, quasi pittoriche; ma avvicinandosi emergono le parole, gli incipit, i frammenti di frasi che si insinuano tra le pietre come radici del sapere.
È un’esperienza che obbliga l’occhio a rallentare, a leggere oltre la forma, a riconoscere che ogni edificio è vita che si scrive e ogni libro è un mattone del pensiero collettivo. Quirico trasforma la fotografia in un dispositivo di conoscenza, in un linguaggio che unisce architettura, letteratura e memoria. Le sue città sono corpi vivi, fatti di geometrie e voci, di stratificazioni visive e culturali. In lui l’immagine non si limita a illustrare, ma pensa, riflette e restituisce al tempo la densità che la modernità tende a dissolvere. Le sue opere sono esposte alla Federico Rui Arte Contemporanea di Milano.
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Il nuovo libro di Angelo Ferrillo, Shinjuku, è un omaggio alla cultura visiva orientale e alla fotografia di strada del Sol Levante. Un viaggio stampato con la cura di un artigiano e lo sguardo di chi sa leggere le città come organismi viventi. Ogni copia è una piccola opera d’arte: carta pregiata, stampa a pigmenti, tiratura limitata. Le sue fotografie di Shinjuku non sono cartoline, ma frammenti di un ritmo urbano dove l’uomo è parte di una coreografia di luci, insegne, silenzi. Ferrillo - napoletano di nascita, milanese per scelta - ha portato nella street photography il rigore dell’ingegnere che era, unito alla sensibilità di chi osserva senza interferire.
Da Napoli ha imparato il caos vitale, da Milano la disciplina, dal Giappone l’essenzialità. Le sue immagini, scattate con Leica e costruite come micro-racconti, si muovono tra realtà e percezione, restituendo alla strada la dignità del teatro umano. Acquistare un suo scatto o il suo libro significa possedere una forma di sincerità visiva, un documento di vita contemporanea che vibra di verità. Ferrillo non fotografa luoghi, ma attimi che diventano memoria collettiva. Le stampe, realizzate da laboratori certificati, sono accompagnate da certificato di autenticità e disponibili sia in tiratura controllata (massimo 10 esemplari) sia in open edition su carta Hahnemühle Photo Silk Baryta X 310.
Profilo social: @pherrillo
Marco Gaiotti è un caso raro di equilibrio tra scienza e poesia. Ingegnere navale e professore universitario, trasforma il rigore tecnico in un metodo artistico: la sua fotografia naturalistica ambientata non documenta soltanto, ma racconta l’habitat come organismo vivente. In ogni scatto c’è un calcolo preciso e un’emozione trattenuta. Gli animali non sono eroi solitari ma elementi di un sistema fragile, rappresentati con una luce che sembra dipingere più che illuminare.
La sua doppia formazione - l’ingegnere che analizza e il fotografo che contempla - conferisce alle immagini una forza unica: equilibrio, proporzione, consapevolezza. Acquistare un suo scatto significa possedere un frammento di verità sul rapporto tra uomo e natura, fissato con la cura di chi conosce la materia e la rispetta. Le sue opere parlano di armonia, ma anche di urgenza: quella di difendere ciò che lentamente scompare. Non è un fotografo di animali, ma un autore di mondi, capace di restituire al paesaggio la sua dignità morale e la sua bellezza necessaria.
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