L’uscita di “Secrets” questo venerdì — anticipata dalla nuova copertina per Vogue France non è una semplice riattivazione discografica ma un riallineamento d’identità. Miley Cyrus non usa la moda come superficie decorativa, ma come atto di definizione di ruolo. Ogni sua fase ha rappresentato un nuovo modo di posizionarsi rispetto all’industria, al desiderio pubblico, alla percezione del corpo femminile dentro lo sguardo globale.
La fase Bangerz (2013) non fu il tentativo di provocare: fu una scelta di smantellamento. Non c’era estetica da compiacere, ma un’identità preesistente da bruciare pubblicamente. Latex, silhouette eccessive, un corpo proiettato non per sedurre ma per scioccare come gesto di annullamento. Fu il momento in cui Miley capì che prima ancora di costruire un’estetica, bisognava eliminare l’identità Disney. Quel trauma visivo fu industrialmente necessario: non stile, ma rottura del linguaggio.
Quattro anni dopo, con Malibu (2017), la sua risposta è l’opposto. Non una conversione, ma un esperimento di autorità sottrattiva. Denim, luce naturale, niente statement. L’assenza come strategia: dimostrare di potersi sottrarre all’obbligo di visibilità. La lezione è chiara: anche la delicatezza, se scelta con lucidità, è potere. Miley testava un’altra forma di influenza — quella che non chiede attenzione, ma ne presuppone il diritto.
Con Plastic Hearts (2020), Miley entra nella fase in cui non reagisce più al sistema: lo dirige. Glam rock, Mugler, Saint Laurent, spalle strutturate, sartorialità architettonica. Non più corpo che disturba, ma corpo che controlla. È la fase più vicina all’immaginario fashion-intellettuale europeo. Lì Miley comprende davvero che lo styling può essere dispositivo politico. Non si propone come icona pop ma come costruttrice di ordine visivo.
Flowers (2023) segna un’altra trasformazione decisiva. Look Gucci scolpiti ma non teatrali, silhouette fluide, palette disciplinata. Non esibizione, ma affermazione adulta. L’estetica non invade: governa. Non c’è più dialettica col pubblico: c’è un baricentro. Miley non sceglie l’eleganza perché matura, ma perché strategicamente istituzionale. Non è più contro qualcosa — è al centro.
Con Vogue France e con l’uscita imminente del singolo Secrets, Miley Cyrus sancisce un passaggio decisivo: non è più una popstar che interpreta la moda, ma un’artista che la guida dall’interno. Lo dichiara apertamente sul mensile: "Voglio essere la mood board", non più volto influenzato dalle tendenze, ma origine da cui le tendenze nascono. Spiega anche di non aver mai seguito davvero la moda in senso convenzionale — "non ho mai saputo veramente cosa fosse una tendenza" — e questo chiarisce perché ogni sua fase non è una risposta al sistema, ma una rifondazione autonoma. Colpisce la sua relazione materiale con gli abiti: racconta che John Galliano, per Margiela, le ha creato un vestito che "mi ha ispirato intere canzoni".
Per lei lo stile non è immagine, è energia sonora. Anche per questo ha scelto di abbandonare i tour negli stadi, preferendo esibirsi solo in luoghi che abbiano "storia, contesto, bellezza": il luogo, come l’abito, deve avere senso narrativo, non solo spettacolare. Miley Cyrus è cresciuta e non cerca più visibilità, cerca coerenza scenica. Non attraversa l’immaginario pop: lo costruisce. E Secrets non è pensato come una semplice canzone, ma come l’apertura di un nuovo sistema visivo ed emotivo interamente governato da lei.
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