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lifestyle30 ottobre 2025

Fotografia musicale: quando gli scatti dei grandi artisti diventano opere da collezione

Dalla Wall of Sound Gallery di Alba ai ritratti iconici di Hendrix, Marley e Springsteen: come la fotografia musicale trasforma il concerto in memoria d’arte e conquista collezionisti in tutto il mondo
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Le mani intrecciate di Eric Clapton, catturate da Luciano Viti: pause di musica, attimi di vita che suonano più di un assolo – Crediti: Luciano Viti/Wall of Sound GalleryLe mani intrecciate di Eric Clapton, catturate da Luciano Viti: pause di musica, attimi di vita che suonano più di un assolo – Crediti: Luciano Viti/Wall of Sound Gallery

La musica è aria che si consuma, la fotografia è luce che si conserva. Quando si incontrano, il tempo perde la sua natura effimera e diventa memoria da collezione. Nel centro storico di Alba, si trova la Wall of Sound Gallery. Due vetrine che espongono fotografie in bianco e nero di musicisti colti nel pieno di un concerto.

Leggende del rock e del jazz colte nel momento più vero. Non sono souvenir per turisti, ma visioni che costringono a fermarsi: volti illuminati da un riflettore, mani che afferrano un microfono, sudore e poesia fissati per sempre.

Da lì nasce la domanda: collezionare fotografie di artisti è un vezzo o è piuttosto una forma di collezionismo d’arte con tutte le carte in regola?

I Beatles a Perthshire, Scozia, 1964: due ombrelloni per ripararsi dal mito. Fotografia di Robert Whitaker – Crediti: Robert Whitaker/Wall of Sound GalleryI Beatles a Perthshire, Scozia, 1964: due ombrelloni per ripararsi dal mito. Fotografia di Robert Whitaker – Crediti: Robert Whitaker/Wall of Sound Gallery

Le origini della fotografia musicale d’autore

Perché di questo si tratta: non poster da cameretta, ma stampe d’autore, tirature limitate, opere con una genealogia precisa. Lo dimostra la storia della fotografia musicale, che affonda le radici negli anni Trenta con William Paul Gottlieb. Giornalista per vocazione, fotografo per necessità, Gottlieb fu costretto a impugnare la macchina fotografica quando i giornali non pagavano i fotografi di scena. In quel gesto “forzato” c’era però un’intuizione: grazie a flash stroboscopici e nuove pellicole ad alta esposizione, riusciva a catturare i musicisti nei club bui, quando la luce sembrava impossibile.

Non scattava a caso: studiava le performance, prendeva appunti mentali sui momenti salienti, aspettava che il volto si illuminasse di sforzo ed emozione. Le sue immagini, celebri quanto gli artisti che ritraevano, hanno trasformato il semplice documento in arte, o meglio in ciò che il critico Whitney Balliett definì “fotografare la musica”.

Jimi Hendrix fotografa Janis Joplin: nello specchio del backstage, la leggerezza di un’epoca irripetibile. Lo scatto è di Jim Marshall - Crediti: Jim Marshall/Sound of Gallery Jimi Hendrix fotografa Janis Joplin: nello specchio del backstage, la leggerezza di un’epoca irripetibile. Lo scatto è di Jim Marshall - Crediti: Jim Marshall/Sound of Gallery

Dagli anni ’60 a oggi: quando lo scatto diventa icona

Negli anni Sessanta e Settanta, la fotografia musicale diventa linguaggio autonomo. Annie Leibovitz trasforma l’ultimo abbraccio tra John Lennon e Yoko Ono in un’icona universale. Mick Rock, “l’uomo che ha fotografato i Settanta”, definisce l’estetica del glam e del punk con uno stile dissacrante.

Jim Marshall, con il suo accesso illimitato, consegna al mondo Johnny Cash che mostra il dito medio a San Quentin: non uno scatto, ma una filosofia di vita. Anton Corbijn, con il bianco e nero rarefatto, scava nella vulnerabilità dei Joy Division. Non è documentazione, è costruzione di immaginario.

Bob Marley, fotografato da Guido Harari: il volto emerge dall’ombra come un canto che non si spegne mai – Crediti: Guido Harari/Wall of Sound GalleryBob Marley, fotografato da Guido Harari: il volto emerge dall’ombra come un canto che non si spegne mai – Crediti: Guido Harari/Wall of Sound Gallery

Guido Harari e la nascita della Wall of Sound Gallery

In Italia, il nome inevitabile è Guido Harari. Nato al Cairo, cresciuto a Torino, autodidatta in un Paese che ignorava la fotografia musicale, Harari non ha mai puntato al trofeo, ma all’incontro. Non cronista, ma compagno di viaggio.

Lou Reed sosteneva che nei suoi ritratti riusciva a cogliere “la poesia e il sentimento che altri fotografi tendono a ignorare”. Dal 2011 ha creato ad Alba la Wall of Sound Gallery, primo spazio italiano interamente dedicato alla fotografia musicale, un vero “muro di immagini” in dialogo con la tradizione della musica. Non solo una galleria, ma un laboratorio che interroga il senso stesso del collezionare: perché appendere in casa il volto di un musicista, trasformare una foto in opera d’arte da possedere?

Jeff Buckley fotografato da Merri Cyr: uno sguardo abbassato, la voce sospesa tra fragilità e leggenda – Crediti: Merry Cyr/Wall of Sound GalleryJeff Buckley fotografato da Merri Cyr: uno sguardo abbassato, la voce sospesa tra fragilità e leggenda – Crediti: Merry Cyr/Wall of Sound Gallery

Collezionare fotografie musicali: identità, memoria, investimento

Harari è chiarissimo: «Alla musica sono legati ricordi indelebili. Acquistare una fotografia di un musicista, allo stesso modo dell'acquisto di un’opera d’arte o di un libro, definisce e conferma la nostra identità». Non solo memoria personale, dunque, ma affermazione culturale, un modo per dire chi siamo. E se lo scatto è firmato, numerato, tiratura limitata, allora entra di diritto nel sistema del collezionismo d’arte.

La scelta di un’immagine non è mai casuale: «Si può scegliere quella che meglio rappresenta l’artista o la percezione che ne abbiamo», continua Harari. Le foto più ricercate sono quelle che colgono gli artisti nell’intimità, con la guardia abbassata. Non il palco, ma il retroscena, quando la star diventa umana e lo spettatore può riconoscersi. In quel momento la fotografia non è più cornice, diventa specchio.

Vasco Rossi nello sguardo di Guido Harari: un’icona che dalla carta è passata sulla pelle dei fan  – Crediti: Guido Harari/Wall of Sound GalleryVasco Rossi nello sguardo di Guido Harari: un’icona che dalla carta è passata sulla pelle dei fan – Crediti: Guido Harari/Wall of Sound Gallery

Dal poster al patrimonio: la fotografia come oggetto d’arte

Gli aneddoti confermano questa forza. Uno riguarda Vasco Rossi: un suo ritratto realizzato da Harari è diventato, chissà perché, una delle immagini più tatuate dai fan. È lo stesso fotografo a sognare di radunare un giorno tutte queste persone e farne un ritratto corale: identità individuali che diventano moltitudine. È il passaggio dal poster appeso in camera alla pelle, dall’oggetto alla carne viva.

Nina Simone al Newport Jazz Festival, 1966. Fotografia di Joe Alper – Crediti: Joe Alper/Wall of Sound GalleryNina Simone al Newport Jazz Festival, 1966. Fotografia di Joe Alper – Crediti: Joe Alper/Wall of Sound Gallery

Un altro episodio riguarda la copertina di Heroes di David Bowie. Una coppia inglese esitava sull’acquisto, Harari li convinse a scegliere quella stampa ormai quasi esaurita. Oggi quella fotografia ha decuplicato il suo valore. Segno che il collezionismo fotografico musicale non è solo memoria o estetica, ma anche investimento, con dinamiche simili a quelle del mercato dell’arte.

Bruce Springsteen, copertina di The River, 1980. Fotografia di Frank Stefanko – Crediti: Frank Stefanko/Wall of Sound GalleryBruce Springsteen, copertina di The River, 1980. Fotografia di Frank Stefanko – Crediti: Frank Stefanko/Wall of Sound Gallery

Un concerto che non finisce mai

E qui sta il punto: collezionare fotografie di musicisti non è affiancabile alle raccolte di curiosità. È la naturale prosecuzione del collezionismo d’arte, con un linguaggio che porta dentro di sé il potere della musica. Una fotografia d’autore non si consuma nello scroll compulsivo di uno smartphone: resiste, si fa oggetto tangibile, opera da appendere e tramandare.

The Rolling Stones, “Behind the Buttons”, 1967. Fotografia di Gered Mankowitz – Crediti: Gered Mankowitz/Wall of Sound GalleryThe Rolling Stones, “Behind the Buttons”, 1967. Fotografia di Gered Mankowitz – Crediti: Gered Mankowitz/Wall of Sound Gallery

In un’epoca di immagini effimere e replicabili all’infinito, scegliere una stampa d’arte significa rivendicare la permanenza. Non è un acquisto, è un atto culturale. Perché se la musica è la più immateriale delle arti, la fotografia è ciò che le restituisce corpo. E possedere quel corpo, appendere al muro il volto di un artista, significa avere un bis tutto per sé: un concerto che non finisce mai.

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