Ornella Vanoni aveva pronto da tempo l'abito per l'ultimo saluto al suo pubblico: "L'abito ce l'ho, è di Dior", aveva dichiarato in un'intervista parlando della morte con grande naturalezza. E così oggi, nel giorno dei suoi funerali - che verranno celebrati alle 15 nella chiesa di San Marco, nel quartiere di Brera dove l’artista viveva - con quest'ultimo dettaglio ha voluto dare una lezione di stile; perché Ornella Vanoni non è stata soltanto una grande cantante, è stata un’estetica, un modo di abitare la scena, una figura che ha fuso musica e moda in un’unica narrazione.
Ricordarla significa attraversare non solo una carriera di brani indimenticabili, ma anche una storia personale che l’ha resa un’icona autentica, riconoscibile in ogni epoca. La sua immagine - i capelli ramati, l’eyeliner impeccabile, le spalle nude illuminate da tessuti essenziali - appartiene alla cultura visiva italiana quanto le sue canzoni appartengono a quella musicale. Non se ne va solo un’artista, ma un pezzo di Italia e di eleganza senza tempo.
Il rapporto della cantante con la moda nasce presto: Milano è la sua città, e lei ne incarna il lato più sofisticato. Nel tempo crea un dialogo privilegiato con stilisti che hanno segnato un’epoca. Con Giorgio Armani condivide l’idea di un’eleganza sobria, fatta di linee pure e una sensualità mai ostentata.
Armani vede in lei una donna che non ha bisogno di interpretare un ruolo: la veste per amplificarne la naturalezza, con abiti scivolati, completi monocromatici, pantaloni morbidi e maglie che lasciano scoperte le spalle con un gesto più eloquente di qualsiasi accessorio. Con Gianni Versace, invece, il rapporto si costruisce sull’allure magnetica: Versace esalta la sua presenza scenica, la sua capacità di essere glamour senza mai rinunciare alla misura.
La sua immagine evolve, ma non cambia mai davvero. I capelli rossi, sciolti o raccolti con leggerezza studiata, diventano un tratto iconico. Il trucco rimane una firma: occhi allungati dall’eyeliner, labbra naturali, una luminosità che non è mai artificiosa. Nel tempo, le sue apparizioni pubbliche mostrano un guardaroba costruito attorno a pochi elementi chiave: seta, maglia, nero assoluto o bianco totale, linee dritte, spalle in evidenza. Anche negli ultimi anni, quando si presenta con completi morbidi, tuniche leggere, sciarpe che accompagnano il movimento, mostra una coerenza stilistica rara. La moda, per lei, non è mai un travestimento: è un prolungamento del carattere.
E mentre il suo stile definisce un’estetica, le sue canzoni definiscono un immaginario. Il sodalizio artistico – e umano – con Gino Paoli le regala uno dei brani più celebri della musica italiana, “Senza fine”, un inno alla continuità dell’amore e alla misura emotiva che diventerà la sua cifra.
Gli anni Settanta portano un altro capolavoro, “L’appuntamento”, la sua versione di “Sentado à beira do caminho”, che molti scopriranno nel 2004 grazie a "Ocean’s Twelve", ritrovando in quella voce vissuta un’eleganza che il tempo non può scalfire. Ci sono poi “La musica è finita”, “Una ragione di più”, “Che cosa c’è”, “Tristezza”: ogni brano custodisce una sfumatura diversa della sua femminilità, mai gridata, sempre complessa.
E negli ultimi anni sa sorprendere ancora, come con “Toy Boy” insieme a Colapesce e Dimartino, dimostrando una modernità che non ha mai avuto bisogno di forzature o "Santa Allegria" con Mahmood. La moda la riconosce come donna-simbolo perché Ornella possiede quella qualità rara: la coerenza. Anche quando sperimenta musicalmente – dalla bossa nova al jazz, dalle “canzoni della mala” alle collaborazioni con giganti come Paolo Conte, Lucio Dalla, Ivano Fossati, Riccardo Cocciante – la sua immagine resta leggibile, personale, immediata. Non esiste un periodo della sua vita in cui abbia ceduto all’idea di “reinventarsi” secondo il gusto del momento: è sempre stata contemporanea proprio perché non inseguiva le tendenze.
Ecco perché la sua morte non riguarda soltanto la musica. Riguarda un pezzo di estetica italiana: un modo di intendere la femminilità come equilibrio tra fragilità e controllo, malinconia e rigore, ironia e presenza scenica. Riguarda una figura che sapeva trasformare un abito nero in un gesto narrativo, un trucco essenziale in un manifesto identitario, una canzone in un autoritratto emotivo. Ornella Vanoni lascia un repertorio che continua a vivere, ma lascia anche una lezione di stile che appartiene alla storia della moda quanto alle vite di chi l’ha ascoltata. Una lezione che suona così: l’eleganza non si costruisce, si coltiva. E chi la possiede davvero, come lei, non la perde mai, senza fine.