Non solo il tennis sta riscrivendo i codici della moda maschile. Basta guardare i tunnel dell’NBA per comprendere che anche il mondo del basket si sta affermando come punto di riferimento per un’estetica nuova. Non sono più semplici corridoi che portano al parquet: sono passerelle in cui si misurano identità, ambizioni e linguaggi che poi arrivano direttamente nelle timeline globali. Lì dentro, prima ancora che inizi una partita, si definisce un’estetica precisa: bold, consapevole, senza paura di mescolare sartoria, streetwear, high fashion e cultura pop.
Questo ruolo non nasce dal nulla. Ha un padre riconosciuto: Michael Jordan. Prima di lui nessun atleta aveva trasformato la propria immagine in un sistema culturale capace di condizionare intere generazioni. Le scarpe che portano il suo nome ormai da quarant’anni non sono state solo sneakers: sono state un codice, un’aspirazione, una definizione. Da lì in avanti il giocatore di basket non è più stato solo un atleta: è diventato un trendsetter, un punto di riferimento estetico. Oggi quell’eredità si è evoluta e amplificata, con una generazione di giocatori che influenza la moda più dei modelli e spesso più degli stylist.
Jordan ha dimostrato che l’immagine può diventare un asset culturale e commerciale. La sua capacità di unire performance, carisma e storytelling visivo ha aperto la strada a un nuovo archetipo: l’atleta come icona di stile. Senza Jordan non esisterebbero né le linee athleisure come le conosciamo oggi né la figura dell’atleta-ambassador nel fashion system. È la radice da cui tutto è germogliato.
LeBron James ha raccolto quel testimone e lo ha portato nel presente, ridefinendo il concetto di “power dressing”. I suoi completi sartoriali sono studiati, mai casuali, spesso pensati per comunicare leadership fuori dal campo. Le collaborazioni con designer di fascia alta lo posizionano come una figura di ponte tra sport, business e moda: una sorta di CEO dell’immagine maschile contemporanea.
Westbrook è l’antitesi delle mezze misure. Il suo approccio non è estetico in senso stretto: è politico. Indossare una gonna sartoriale o una camicia in seta rosa non è una provocazione gratuita, ma un’operazione di riscrittura dei codici della mascolinità. La moda oggi parla di fluidità? Lui l’ha resa mainstream prima di molti designer.
Shai è la risposta a chi pensa che lo stile sia solo eccesso. La sua estetica punta sull’essenziale: tailoring pulito, palette neutre, silhouette studiate al millimetro. È diventato un riferimento per i brand che vogliono intercettare un pubblico maschile più attento al dettaglio che all’effetto shock.
Booker incarna la traduzione sportiva del quiet luxury: abiti essenziali, qualità assoluta dei materiali, zero ostentazione. È un’estetica che parla a chi non vuole essere sopra le righe ma rifiuta la banalità. Il risultato è un’immagine credibile, contemporanea e sorprendentemente aspirazionale.
Il crescente interesse dei brand per gli atleti NBA non è un trend passeggero. I giocatori hanno peso mediatico (soprattutto negli Stati Uniti, ma non solo), capacità narrativa e un rapporto diretto con le community globali. In un momento in cui il fashion system cerca autenticità e nuove forme di mascolinità, l’NBA fornisce figure credibili, influenti e capaci di dettare ritmo.
I tunnel look, i contratti con le maison, le capsule collection firmate dagli atleti: tutto converge in un dato evidente. Oggi il confine tra fashion icon e superstar NBA è praticamente scomparso. E questa fusione sta riscrivendo – sul parquet e fuori – l’estetica maschile contemporanea.
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