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living15 ottobre 2025

Le macchine fotografiche con il rullino: il fascino dell’imperfetto

Dalle fotocamere a telemetro al ritorno delle usa e getta, fino alle istantanee e ai grandi formati: la fotografia analogica riscopre il suo fascino vintage, dove il design racconta la tecnologia e l’imperfezione diventa stile
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Polaroid I-2 - Courtesy Press OfficePolaroid I-2 - Courtesy Press Office

Le macchine fotografiche analogiche non inseguono la perfezione: la smascherano. In un tempo che ritocca tutto, il rullino resta un atto di onestà. Non è un ritorno, ma un cambio di sguardo: oggi la macchina fotografica analogica vive tra le mani di chi preferisce la luce alla postproduzione, l’attesa all’anteprima. Come alcune radio dal gusto retrò, anche le nuove fotocamere a pellicola, con leve, ghiere e corpi d’acciaio, conservano la forma delle loro antenate come se il design fosse memoria. Scattare su pellicola è un gesto lento e consapevole, come scrivere con una stilografica: ogni errore è irripetibile, e quindi perfetto.

Leica Serie M - Courtesy Press OfficeLeica Serie M - Courtesy Press Office

Ma attenzione, perché le pellicole non sono tutte uguali. Il numero che le definisce — 35 mm, 120 mm o 110 mm — indica la larghezza della pellicola e quindi la dimensione del fotogramma. Il 35 mm è il formato più comune: nasce nel cinema e, grazie a Leica, diventa lo standard della fotografia moderna per equilibrio tra qualità e portabilità. Il 120 mm è il regno del medio formato: pellicola larga circa sei centimetri, negativi fino a 6 × 9 cm e una profondità d’immagine impareggiabile, a costo di fotocamere più ingombranti. Il piccolo 110 mm, lanciato da Kodak negli anni Settanta, era pensato per le compatte tascabili: pratico, economico, ma con una resa più morbida.

Meccaniche d’élite

Il 35 mm è il formato più utilizzato in assoluto anche dalle macchine fotografiche con una meccanica d’elite: tra queste, le fotocamere a telemetro ottico per la messa a fuoco manuale. A differenza delle reflex, il fotografo non guarda attraverso l’obiettivo, ma attraverso un mirino separato che include una piccola area, detta patch, dove vengono mostrate due immagini del soggetto: una fissa e una mobile. La messa a fuoco si ottiene allineandole perfettamente ruotando l’anello sull’obiettivo. Queste macchine sono apprezzate per la loro compattezza, silenziosità e per un mirino luminoso che non si oscura mai al momento dello scatto. Sono storicamente associate a marchi come Leica e alla street photography, dove la discrezione e la velocità contano più della potenza di fuoco.

Leica M6 - Courtesy Press OfficeLeica M6 - Courtesy Press Office

Il brand tedesco ha continuato a produrre negli anni corpi interamente meccanici come la M-A (Typ 127), priva persino di esposimetro, e la più recente M6. Questi modelli non sono solo strumenti, ma dichiarazioni d’intenti: nessuna elettronica, nessuna obsolescenza, solo ottone, ingranaggi e fiducia nella luce. Il mercato, seppur di nicchia, è florido: una Leica analogica nuova parte da circa 5.000 euro e può superare gli 8.000, ma mantiene nel tempo un valore che molti smartphone perdono dopo sei mesi.

Pentax 17 - Courtesy Press OfficePentax 17 - Courtesy Press Office

Nuova analogia

Se il lusso analogico è un club privato, la vera notizia è che i piaceri dell’arte analogica si possono sperimentare anche attraverso apparecchiature più a buon mercato. Un esempio è la Pentax 17, una fotocamera compatta a pellicola che usa il formato half frame, cioè mezzo fotogramma per ogni scatto. Tradotto: 72 immagini su un rullino da 36 pose. È un’idea semplice per ridurre il costo a scatto e avvicinare le nuove generazioni a un’esperienza tangibile. La 17 non ha display né autofocus predittivo, ma una leva di carica manuale e un’esposizione a zone. Costa meno di una mirrorless base, ma restituisce qualcosa che nessuna app può simulare: l’imprevedibilità.

AgfaPhoto Argentica - Courtesy Press OfficeAgfaPhoto Argentica - Courtesy Press Office

Accanto a Pentax si muove un fronte accessibile e diretto, fatto di compatte riutilizzabili come la Kodak M35, la Yashica MF-1 e le Agfa Argentica. Sono macchine che riportano la fotografia all’essenziale: un rullino da 35 mm, un flash, e una sola regola — inquadrare e scattare. Queste fotocamere utilizzano un otturatore meccanico fisso, cioè una velocità di scatto impostata in fabbrica (in genere 1/100 o 1/125 di secondo) che non può essere modificata dall’utente. L’esposizione resta sempre la stessa, adatta alla luce diurna, e per interni o notturni serve il flash o una pellicola più sensibile. È la semplicità assoluta: nessun display, nessuna opzione, solo il rumore secco dell’otturatore e la curiosità di vedere cosa è venuto fuori.

Foto scattata con Lomografica LomoAppart e pellicola Kodak Portra 400 - Courtesy Press OfficeFoto scattata con Lomografica LomoAppart e pellicola Kodak Portra 400 - Courtesy Press Office

Ad utilizzare i formati più particolari come il 6,4,5, 6x6, o il 6x9 è Lomography, che nel tempo ha recuperato i brevetti di diversi modelli storici europei del Novecento, reinterpretandoli in chiave contemporanea. Le sue fotocamere, come la LomoApparat (35 mm), la Diana F+ (120 mm) o la Lomomatic 110, sono veri e propri omaggi alla diversità tecnica della fotografia analogica.

Con i loro obiettivi in plastica, i corpi leggeri e la totale assenza di automatismi, le fotocamere Lomography rifiutano la perfezione per esaltare il caso. In dotazione c’è quasi sempre del nastro nero per coprire le fughe di luce nel corpo macchina. Non promettono nitidezza, ma libertà. Le immagini che producono — spesso sovraesposte, distorte o sfocate — sono un piccolo manifesto poetico dell’imperfezione.

Le Usa e getta Kodak e Fujifilm - Courtesy Press OfficeLe Usa e getta Kodak e Fujifilm - Courtesy Press Office

La stagione dell’usa e getta

Tra i simboli più democratici dell’analogico c’è la fotocamera usa e getta. Nata negli anni Ottanta per semplificare lo scatto amatoriale, è tornata oggi come accessorio vintage di culto. Kodak, Fujifilm e AgfaPhoto continuano a produrle quasi identiche alle originali: corpo in plastica, pellicola da 35 mm preinserita e flash integrato. Una volta finito il rullino, si consegna tutto al laboratorio, che recupera la pellicola e ricicla la scocca.

La filosofia resta invariata: semplicità estrema, un solo pulsante, una sola possibilità. L’otturatore è meccanico fisso, la messa a fuoco è fissa e il risultato quasi sempre imprevedibile. Ma è proprio questa incertezza a renderle affascinanti. Alcuni brand hanno persino reintrodotto versioni subacquee, impermeabili fino a 10 metri, per le vacanze e i reportage estivi. Il loro successo è anche sociologico: nella fotografia usa e getta non c’è editing, non c’è anteprima, non c’è controllo. È l’immagine che comanda, non chi la scatta.

Sul tavolo una Polaroid I-2 di nuova generazione - Courtesy Press OfficeSul tavolo una Polaroid I-2 di nuova generazione - Courtesy Press Office

L’effimero che resta

Se la pellicola tradizionale è lentezza, la fotografia istantanea è la sua sorella estroversa: in questo caso si scatta per condividere subito. Un’immagine che nasce già stampata, con il profumo della chimica e il calore della carta. La rinascita ha due protagonisti storici: Polaroid e Fujifilm. La prima ha ritrovato sé stessa con prodotti che partono da 90 euro fino a toccare i 600 della Polaroid I-2. Quest’ultima è tra le istantanee più avanzate mai costruite grazie ai controlli manuali e all’obiettivo Ricoh. Fujifilm, invece, domina con la serie Instax nei diversi formati — Mini, Square e Wide — e si adatta a diverse sensibilità fino a toccare ISO 800 per la fotografia notturna. Ma ci sono anche quelle diventate ibride cioè digitali e analogiche.

Accanto a questi due colossi si è aperta una terza via, pensata per chi vive la fotografia istantanea come estensione del proprio smartphone. Canon, con la linea Zoemini, unisce fotocamera digitale e stampante termica. Kodak, dal canto suo, ha rilanciato la filosofia dello scatto tangibile con i modelli Mini Shot, anch’essi basati su stampa a sublimazione per colori più vividi e una definizione sorprendente.

La Canon Zoemini con stampa istantanea - Courtesy Press OfficeLa Canon Zoemini con stampa istantanea - Courtesy Press Office

Oltre il tempo

C’è poi un’ultima categoria di appassionati: quelli che rifiutano l’obsolescenza. In garage e laboratori artigianali, il grande formato torna protagonista. La Smartflex 4x5 di Reflx Lab è una fotocamera a pellicola di nuova generazione che può ospitare sia sensori digitali che pellicole, e si comanda anche via Bluetooth. È il perfetto esempio di come l’analogico possa dialogare con il digitale senza perdere identità.

Anche l’ibrido tecnologico avanza. L’azienda svizzera I’m Back GmbH ha sviluppato un “rullino digitale” con sensore Micro Quattro Terzi: si inserisce al posto della pellicola in vecchie reflex 35 mm e le trasforma in camere digitali. È un modo per far rivivere modelli come la Canon AE-1, la Nikon FM2 o la Leica R6, senza tradire la loro ergonomia originale.

Fotocamera analogica/digitale Smartflex 4x5 - Courtesy Press OfficeFotocamera analogica/digitale Smartflex 4x5 - Courtesy Press Office

Queste invenzioni non rispondono solo a un desiderio di design, ma a un bisogno culturale: rallentare. La pellicola, oggi, è il contrario della certezza del risultato. Costa, richiede tempo, chiede attenzione. Ma proprio in questo è la sua forza. In un mondo dove la memoria è fatta di file che si cancellano e di immagini lisce come vetro, la fotografia analogica conserva la ruvidità del reale. È il ritorno al gesto, al limite, all’attesa. La pellicola non è mai morta. È solo diventata ciò che ogni oggetto perfetto sogna di essere: imperfetta, ma eterna.

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