A guardarlo dal vivo, Dan Brown ha la stessa calma di Robert Langdon, il professore di simbologia che ha reso celebre nel mondo. Parla con misura, ascolta con attenzione e sceglie le parole come se fossero indizi di un codice più grande.
A Milano, sul palco del Teatro Carcano, è arrivato accompagnato dal padre Richard Brown, ex insegnante di matematica e compositore. È stato lui, ha raccontato Dan, a trasmettergli la passione per le scienze, per i numeri, per le domande che uniscono logica e mistero. E lo ha fatto giocando, quando il futuro scrittore era ancora un bambino, con quelle cacce al tesoro fatte di enigmi e piccoli rompicapi che sarebbero poi diventati il cuore dei suoi romanzi.
Durante la presentazione italiana, a Milano, del nuovo thriller, L’ultimo segreto – The Secret of Secrets, Richard Brown ha dedicato al figlio un breve monologo affettuoso in cui lo ha definito come “una delle persone più gentili e altruiste che lui conosca”.
Nato nel 1964 a Exeter, New Hampshire, Dan Brown è cresciuto in una famiglia dove si incontravano due mondi: la scienza e la musica. Prima di diventare uno scrittore, è stato musicista e insegnante di inglese. Poi, nel 1996, ha deciso di dedicarsi completamente alla scrittura, unendo la passione per l’arte, la simbologia e le teorie scientifiche.
Il primo libro, Crypto, ha raccontato scherzosamente, ha venduto sì e no 12 copie, un po’ come i suoi album da musicista.
Ma Dan Brown non si è mai arreso: ha continuato a scrivere, a studiare, a costruire mondi. Così è nato uno dei personaggi più iconici della narrativa contemporanea, il professor Robert Langdon, poi portato sul grande schermo da Tom Hanks. Con la pazienza di un orologiaio, Brown ha intrecciato trame complesse e avvincenti, in cui il mistero e la suspense si fondono con riflessioni profonde su arte, storia, fede e, nel suo ultimo romanzo, sulle neuroscienze e i confini ancora inesplorati della mente umana
Con romanzi come Angeli e Demoni, Inferno e soprattutto Il Codice da Vinci, ha venduto oltre 250 milioni di copie nel mondo, trasformando la curiosità in un marchio di fabbrica.
Oggi, a otto anni da Origin, torna con L’ultimo segreto, un romanzo che affronta la più grande delle domande: che cos’è la coscienza? Ma nel dialogo con lui, più che il mistero, emergono la disciplina, la gratitudine e la semplicità di un autore che non ha mai smesso di cercare.
Negli anni ho sempre cercato di scrivere su temi che spingessero il lettore a porsi delle domande, a riflettere, a mettersi in discussione. Ho affrontato argomenti come la discendenza di Cristo, l’intelligenza artificiale, la simbologia religiosa. Ma quando ho iniziato a riflettere sul tema della coscienza, mi sono reso conto che stavo toccando qualcosa di ancora più profondo: la base stessa attraverso cui percepiamo tutto ciò che ci circonda. La coscienza è la lente con cui vediamo il mondo, con cui ci relazioniamo agli altri, con cui comprendiamo noi stessi. Eppure è anche uno dei più grandi misteri scientifici e spirituali della nostra epoca. Era un territorio affascinante, ma anche incredibilmente complesso, e infatti questo libro ha richiesto più tempo degli altri. Ma volevo davvero entrare lì, esplorare cosa significhi essere vivi, essere coscienti — e cosa potrebbe esserci oltre.
La ricerca è stata lunga e intensa, molto più del solito. Ho incontrato e intervistato fisici, neuroscienziati, esperti di coscienza, studiosi del campo della noetica — che è una scienza ancora giovane ma estremamente affascinante. E poi ho parlato con persone che hanno vissuto esperienze di premorte, che hanno avuto sensazioni extracorporee, che raccontano con lucidità qualcosa che va oltre la logica e la materia. Queste conversazioni mi hanno messo in discussione. Se mi aveste chiesto otto anni fa cosa accade dopo la morte, vi avrei detto con sicurezza: “Niente. Si chiude il sipario, e basta.” Ora non ne sono più tanto sicuro. Non dico che abbia trovato delle risposte — ma ho trovato delle possibilità. E la narrativa è il luogo perfetto per esplorarle, per farlo insieme al lettore, senza dare dogmi o soluzioni, ma accendendo dubbi.
Spero che si divertano, ovviamente — L’ultimo segreto è prima di tutto un thriller, un viaggio pieno di misteri, inseguimenti, colpi di scena. Ma oltre a questo, vorrei che si accendesse qualcosa: una curiosità, il desiderio di approfondire. Il tema della coscienza è qualcosa che ci riguarda tutti, non è un concetto astratto riservato ai filosofi. È il modo in cui viviamo, amiamo, soffriamo, percepiamo. Se, una volta finito il libro, il lettore sente il bisogno di cercare altri testi, altri autori, magari anche posizioni contrastanti… allora avrò fatto bene il mio lavoro. Scrivo per divertire, sì, ma anche per stimolare la mente. E questo libro in particolare è un invito a guardarsi dentro.
Beh, direi che è diventato parte della mia identità. Io invecchio — lui no! Ma più passa il tempo, più lo sento vicino. Condividiamo la passione per l’arte, l’architettura, la storia. Ma soprattutto abbiamo un modo simile di guardare il mondo: siamo entrambi scettici, razionali, ma con un grande rispetto per ciò che non comprendiamo ancora. Quello che amo di Langdon è che è curioso, ma anche umile. È uno che ha bisogno delle prove, che non si fa facilmente trascinare da teorie infondate. Ma è anche pronto a rimettersi in discussione. In questo nuovo libro, ad esempio, è proprio la sua compagna di viaggio — Katherine Solomon — a portarlo a vedere le cose in modo diverso. Lei crede in ciò che lui rifiuta. E lui, alla fine, si apre. Questo per me è l’emblema della vera intelligenza: saper cambiare idea.
No, mai! L’orologio di Topolino resterà sempre con lui. È parte del suo carattere. Rappresenta quella leggerezza, quell’ironia, che bilancia la sua serietà accademica. Per la cronaca, ho a casa l’orologio che Tom Hanks ha indossato nel film. Lo adoro. Pensavo di metterlo oggi per questa intervista, ma poi ho avuto paura di perderlo! È un oggetto speciale, e mi ricorda da dove è partito tutto.
Hanno contato tutto. Prima di essere uno scrittore pubblicato, ero un musicista, e facevo concerti in cui non veniva nessuno. Ho scritto romanzi che non ha letto nessuno, ho bussato a porte che non si sono mai aperte. Ma tutto questo mi ha insegnato qualcosa: la perseveranza. E soprattutto, mi ha dato una prospettiva diversa sul successo. Oggi sono grato per ogni lettore, per ogni persona che entra in libreria e sceglie un mio libro. So cosa significa non essere ascoltati, e questo rende ogni conquista ancora più significativa. Penso che ogni artista, ogni creativo, debba attraversare il fallimento. Ti forma, ti dà spessore. Ti obbliga a capire se davvero vuoi farlo.
Ce n’è una che mi accompagna da anni, di Winston Churchill: “Il successo è la capacità di passare da un fallimento all’altro senza perdere entusiasmo.” È una frase semplice, ma potentissima. Il fallimento non è un muro, è un passaggio. L’importante è non lasciarsi bloccare, ma osservare, capire cosa non ha funzionato, e poi riprovarci, magari con una piccola variazione. Non bisogna avere paura di fallire — bisogna avere paura di non provarci.
Sì. Anche stamattina mi sono alzato alle quattro. E considera che siamo andati a dormire piuttosto tardi ieri sera! È il mio momento creativo, quando tutto è silenzioso, il mondo dorme e la mente è libera.
Leggi anche:
Barbie The Dream Experience ad Amsterdam: una mostra immersiva tra nostalgia e sogno rosa