Addio a Re Giorgio Armani, l’eleganza che ha cambiato il mondo
Si è spento il maestro che ha trasformato lo stile in un linguaggio universale e ha reso affascinante la sobrietà

Eleganza senza tempo. Fascino. Sobrietà. Se dovessimo descrivere Giorgio Armani in tre parole, queste - forse - sarebbero le più autentiche. Ma ridurre l’universo di un Re, Re Giorgio, a una manciata di espressioni sarebbe come provare a racchiudere Milano in un’istantanea soltanto: impossibile.
Giorgio Armani non è stato solo uno stilista. È stato un innovatore, il maestro indiscusso del Made in Italy nel mondo, il sarto che ha vestito di sogni intere generazioni. Un visionario che non ha mai ceduto ai trend del momento ma ha scelto di essere fedele a se stesso e al suo stile. L’abbiamo visto chiudere la sfilata celebrativa dei vent’anni di Armani Privé, forte nella sua fragilità, due modelle al fianco come due angeli. Cedere il passo in passerella, dopo un ricovero, a Leo Dell’Orco, suo braccio destro, nelle ultime sfilate maschili a Milano.
Oggi Re Giorgio se n’è andato, fedele alla sua solita discrezione, ma la sua eredità e il suo nome continueranno a vivere per sempre. Resteranno nelle sue collezioni, negli archivi preziosi, nei giovani designer che lo citano non solo come guida creativa, ma anche come esempio di resilienza, integrità e passione. Resteranno nel guardaroba di ognuno di noi. Tra il profumo della seta, le spalle destrutturate di un blazer, nel blu di una gonna, colore che lui tanto amava. O, ancora, nelle camicie con i colletti alla coreana stile "Il tè nel deserto", che rimandano alla cultura orientale e araba, celebrata da Armani negli Anni 90.
Giorgio Amani è nato a Piacenza nel 1934 ma è milanese d'adozione. Lascia l’Emilia-Romagna dopo la guerra con la famiglia, i soldi sono pochi. Alla sua terra d’origine, però, resterà legato: “Ho sempre amato quella campagna intorno alle acque azzurre del Trebbia, il suo senso di evasione”, ha detto in più occasioni. L'infanzia vissuta tra i bombardamenti lo segna. Da questa esperienza lo stilista trae forza, energia, sensibilità e attenzione all’altro. Ricordiamo che Armani è stato il primo a sfilare a porte chiuse per tutelare i suoi ospiti dal Covid nel febbraio del 2020, mentre due anni dopo la sua passerella era senza colonna sonora, in segno di cordoglio per l'Ucraina e contro la guerra.

Ma andiamo con ordine. Dopo il Liceo scientifico il giovane Giorgio si iscrive alla Facoltà di Medicina dell'Università Statale di Milano per diventare chirurgo. Abbandona gli studi nel 1957, quando inizia a lavorare come vetrinista alla Rinascente di Corso Vittorio Emanuele. La passione per il visual è un passaggio verso il design. La prima esperienza concreta nella moda è con l'abbigliamento maschile: dal 1964 al 1970 collabora con Nino Cerruti per la Hitman, la prima fabbrica di prêt-à-porter elegante da uomo. È una tappa fondamentale nella sua formazione. Nel 1974, sfila nella Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze.
I tempi sono maturi per la nascita della Giorgio Armani Spa, che debutta l’anno successivo. Alla prima linea maschile si affianca nel 1976 quella femminile. Armani scala il successo. La copertina del Time lo consacra “uomo dell'anno”: è il 1982. L’estetica di Re Giorgio diventa un linguaggio universale: linee pulite, tessuti morbidi, silhouette che esprimono il potere e la libertà di essere se stessi. Trasforma la discrezione in lusso, il minimalismo in provocazione silenziosa. Rende la sobrietà affascinante. “L’eleganza non è farsi notare ma ricordare”, diceva. Si sacrifica molto in nome della moda. “La vita mi ha premiato ma posso dire che mi ha anche tolto parecchio”, ha dichiarato. “Mi sarebbe piaciuto godermi tante cose che per gli altri sono normali, ma che ho dovuto mettere da parte per questo mondo”.
La giacca destrutturata è senza dubbio il capo con il quale si identifica il lavoro di Giorgio Armani. È negli Anni 80 che sfida la sartorialità inglese e la tradizione. È un'operazione sopraffina quella che compie: elimina la rigidità delle controfodere, i copri risvolti, proietta le spalle fuori facendole cadere, a favore della fluidità. La giacca diventa così il simbolo delle collezioni di Armani, per lui e per lei. Il successo è mondiale: prima negli Stati Uniti e poi si espande ai quattro angoli della Terra. Diane Keaton indossa la giacca destrutturata agli Oscar del 1978 per ritirare il premio come Miglior attrice protagonista per il film "Io & Annie" di Woody Allen. E due anni più tardi il designer cura i costumi di "American Gigolò", pellicola che rende noto al grande pubblico non solo Richard Gere, ma anche la visione moderna della moda maschile dello stilista, con i pantaloni senza pences.

Giorgio Armani è stato il primo a intuire il potere della contaminazione tra moda e lifestyle. Con Emporio Armani, arrivato nel 1981, ha parlato ai giovani, con Armani Casa – il debutto risale al 2000 – ha portato il design nei salotti del mondo tra fantasie ispirate all'Art Déco, modernismo e concettualità asiatica. Una passione, quella per l'Oriente, che lo porta ad aprire anche Armani/Nobu, nel suo store Armani/Manzoni 31. Indirizzo che diventa poi il primo degli esclusivi Armani Hotel sparsi nel mondo. Con Armani Privé, infine, nel 2005, ha scritto una nuova grammatica nell’haute couture parigina. Il suo non è solo un impero fashion ma culturale.
Le donne più affascinanti del mondo hanno tutte vestito creazioni Armani. A partire da Antonia Dell’Atte, prima musa dello stilista tra gli Anni 70 e 80. E poi Sophia Loren, Renée Zellweger (LINKARE), Anne Hathaway, Madonna, Lady Gaga.... La lista è infinita. Gli Oscar, Cannes, la Mostra del Cinema di Venezia: non c’è tappeto rosso che conti dove non ci sia una donna Armani. Molte star lo chiamano semplicemente “Giorgio”.
Come Cate Blanchett (a lungo ambassador di Giorgio Armani Beauty) e Julia Roberts che sono con lui e la nipote Roberta quando ai British Fashion Awards viene premiato con l'Outstanding Achievement Award per il suo contributo creativo all'industria della moda. È uno tra i numerosi titoli che Giorgio Armani ha ricevuto: la Légion d'Honneur, la nomina a membro onorario nel Costume Institute del Metropolitan Museum di New York, il Cavalierato della Repubblica e anche la più alta onorificenza dello stato, quella di Cavaliere di Gran Croce. Tanti riconoscimenti, un solo Re. Re Giorgio. Per sempre.
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