C’è qualcosa di magico nei tappeti. Non solo perché, nelle favole, a volte volano, ma perché sanno raccontare storie antiche e, allo stesso tempo, legare gli spazi del presente. Il loro segreto è forse questo: portare il mondo in casa nodo dopo nodo, filo dopo filo. Per comprenderne davvero il potere basta un esercizio semplice: immaginare una stanza due volte, una vuota, una con un tappeto steso a terra.
È in quel confronto che la magia si rivela: un filo che unisce, un colore che definisce, un disegno che trasforma l’ordinario in straordinario.
Da millenni mani sapienti intrecciano destini e culture, portando attraverso mari e deserti l’arte dell’annodatura. Ogni nodo conta: più sono, più cresce la storia, più cresce il valore. L’annodatura a mano è la tecnica più antica e preziosa: ogni filo è annodato singolarmente, un lavoro che richiede mesi e che restituisce superfici dettagliate destinate a durare generazioni. L’hand-tufted abbrevia i tempi con una pistola manuale che inserisce i fili sul retro della tela, mantenendo precisione e regolarità. La loom-knotted, invece, è ideale per motivi semplici e geometrici, permettendo formati ampi con tempi più contenuti. La produzione è un viaggio epico: lana dell’Himalaya, sete cinesi, laboratori indiani, villaggi nepalesi. Un ponte tra passato e presente, tra artigianato e design.
Accanto alla produzione classica, da anni avanza un nuovo linguaggio: il contemporaneo. Le tecniche restano le stesse, ma cambia l’intenzione. Il tappeto non è più semplice complemento: diventa scenografia, costruisce lo spazio, ne detta il tono. Dominano trame geometriche e astratte, che giocano con linee e vuoti creando ambienti dinamici. Si affiancano fiori stilizzati e disegni d’autore, dove l’artigiano diventa artista. Anche il colore cambia registro: ai toni profondi si alternano palette eteree, le sfumature naturali si accendono di accenti audaci. Ogni pattern è un messaggio: parla, evoca, dialoga con l’architettura.
Illulian interpreta la lampada Taraxacum (1988) di Achille Castiglioni, trasformando il suo motivo radiale in tessitura di lana himalayana e seta annodata a mano: la luce che diventa materia.
Amini dedica a Bruno Munari due collezioni ispirate ai suoi mondi ludici: Viaggio nella Fantasia e Macchine Inutili. Qui il tappeto è movimento, sperimentazione, pensiero libero.
Issho, disegnato da RAUM per Carpet Edition, rende omaggio a Carlo Scarpa e al Memoriale Brion: due moduli in lana neozelandese, uniti da un bottone, evocano gli archetipi di Yin e Yang, luce e ombra, maschile e femminile.
Nella collezione Tactile, Ilaria Franza trasforma pennellate in rilievi: lana, seta di bambù, viscosa e iuta diventano ritmo, luce, profondità. Le varianti Caramel, Black, Green, Blue definiscono ambienti come quadri poggiati a terra.
The Color of Copper di Kwangho Lee per cc-tapis cattura l’ossidazione del rame in trame di lana, seta e fibre di aloe annodate a mano. Superfici cangianti che mutano con la luce: arte, materia e tempo fusi insieme.
La Bhuri Collection – Red di Satyendra Pakhalé per Cappellini traduce acquerelli astratti in viscosa luminosa. Intenzione e spontaneità intrecciate in rosso, blu e grigio. Floraison Douce di Sahrai, dalla Fleur de Soie Capsule Collection di Sybille de Margerie, è un petalo in lana neozelandese e seta di bambù. Avorio, morbidezza, forma organica: una peonia da percorrere a piedi nudi. La collezione Botanica di GAN interpreta funghi e flora in forme scolpite. Disegnata da Bodo Sperlein, realizzata a mano in lana afgana: toni verdi, grigi e gialli che respirano nello spazio.
Chiude il percorso “La Foglia: linfa vitale” di Giulio Caponi: un pezzo unico ricamato a mano, in cui la foglia diventa simbolo e superficie.
Ribbon Riders di Karpeta, firmato Aylin Langreuter, intreccia antiche banderuole e patch di football americano in ciniglia. Multistrato, morbido, visivamente potente. Tranquility di Moooi Carpets, dalla collezione Visionary Perspectives, dissolve la grafica in contemplazione: linee calibrate che fluiscono lente, guidando lo sguardo come un respiro.
E poi ci sono loro: i tappeti monocromatici. Nessun virtuosismo, solo colore e materia. Sono presenze silenziose, capaci di completare una stanza senza dominarla. Lana compatta, bouclé, canapa, viscosa: superfici che sussurrano calore, attutiscono il rumore, ammorbidiscono gli angoli. Il segreto è nella profondità del tono: beige sabbioso, grigio perla, terracotta. È il colore ridotto all’essenza, che scalda senza chiedere attenzione.
Come Arwen Amber di Kelly Wearstler per The Rug Company, luminoso e avvolgente. O Marisco di Maddalena Casadei per S-CAB, che reinterpreta le antiche coperture in canna della Sardegna in lana e tencel intrecciati a mano. Oppure Dots di Warli, superficie continua punteggiata da rilievi in lana ritorta: discreta, ma viva.
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