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20 luglio 2025

Libri per le vacanze, "Un cadavere in cucina": 5 domande a Giancarlo De Cataldo

“Spinori è il mio cozy crime. E sì, con mia moglie abbiamo cucinato le ricette del libro”

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Dopo aver raccontato la Roma criminale e corrotta in capolavori come Romanzo criminale e Suburra, Giancarlo De Cataldo torna in libreria con il sesto capitolo della serie dedicata ai casi di Man Shakespeare Manrico Spinori, pubblico ministero colto, sentimentale e amante dell’opera lirica. Un personaggio che vive in una città piena di contraddizioni, alle prese con crimini da risolvere... e piatti da gustare.

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Giancarlo De Cataldo. Credit Getty Images

Nel nuovo romanzo, Un cadavere in cucina, l’indagine ruota attorno a un delitto nel mondo dell’alta ristorazione. E tra chef famosi, stress da brigata e cucine blindate, Spinori si muove con ironia, fiuto e fame. Un noir che profuma di sugo, ma non rinuncia alla profondità.

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1. La serie Manrico Spinori mescola noir a commedia ed è molto diversa dalla sua produzione precedente. Come è nata?

Tutti hanno un personaggio seriale... volevo averlo anch’io. Ed è venuto a trovarmi Spinori: elegante, appassionato d’opera, lontano dai social. L’ho voluto all’opposto dei detective tormentati e cupi dei noir nordici. Spinori è ironico, sentimentale, un po’ farfallone, ma animato da un forte senso della giustizia. Nei suoi casi c’è sempre della commedia, perché la leggerezza può essere uno strumento potente per raccontare il mondo.

2. La cucina gioca un ruolo centrale in questo romanzo. È solo ambientazione o qualcosa di più?

Qualcosa di più. Adoro mangiare bene: ovunque io vada, cerco la cucina locale. A volte provo anche qualche stellato, ma impazzisco per un panino col salame. Mi affascina il mondo della ristorazione, ma ho voluto raccontarne anche il lato oscuro. Un amico chef mi ha parlato di ritmi disumani, pressioni psicologiche, dinamiche da caserma. Come Spinori, preferisco una cucina vera, imperfetta, fatta di passione e condivisione. Anzi, con mia moglie ci siamo divertiti a ricreare alcune delle ricette del libro: è stato un gioco di coppia bellissimo, tra esperimenti, disastri e piatti riusciti.

3. A fianco di Spinori c'è sempre Deborah Cianchetti. Che tipo è?

È il suo braccio destro e, direi, anche il suo contraltare. Una poliziotta un po’ coatta, diretta, che dice sempre quello che pensa. Spinori è un radical chic, lei è verace, di strada. Insieme rappresentano due Italie che riescono a capirsi solo se imparano a rispettarsi. E poi è realistico: oggi in magistratura la maggioranza è femminile. Volevo restituire questa realtà, ma anche raccontare la forza delle squadre investigative in rosa: concrete, precise, toste.

4. Roma è sempre al centro delle sue storie. Un’ossessione?

Sì, ma è un’ossessione d’amore. Roma è un caos irresistibile: cinica e cafona, ma anche profondamente umana. Durante la pandemia, ad esempio, è stata sorprendentemente disciplinata, ha dimostrato un cuore insospettabile. Io ci vivo da cinquant’anni, e continuo a raccontarla perché Roma, narrativamente, è infinita: è il mio caos, per dirla con Shakespeare.

5. Dopo aver scritto noir duri, perché definisce questa serie “da ombrellone”?

Perché credo che si possano scrivere romanzi popolari senza abbassare il livello. Spinori è il mio cozy crime: crimini veri, ma raccontati con leggerezza e intelligenza. Sono libri da leggere in treno, in spiaggia o sul divano. Non hanno la pretesa di spiegare il mondo, ma lo attraversano con ironia. E poi c’è bisogno anche di questo: storie che facciano compagnia, senza essere banali.

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