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11 febbraio 2022

La storia di Jonathan Bazzi

Dai pregiudizi sulla sua omosessualità alla lotta contro l'HIV, raccontati nel suo ultimo libro, all'amore per il compagno, a Verissimo la storia dello scrittore

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Jonathan Bazzi, 37 anni a giugno, si racconta sabato 12 febbraio per la prima volta a Verissimo, e ripercorre con Silvia Toffanin i momenti più intensi e difficili della sua vita, che lo scrittore ha raccontato anche nel suo ultimo libro Corpi minori - uscito l'8 febbraio - incentrato sulla sua adolescenza, segnata dai pregiudizi legati alla sua omosessualità. "In astronomia sono i corpi celesti che ruotano intorno ai pianeti: asteroidi, meteoriti, stelle cadenti. I corpi marginali, per tare o difetti, sono tutti i corpi di questo libro: Pietro che ingrassa, la sorella del protagonista con la vitiligine. Il protagonista stesso. I corpi delle donne che soccombono alla violenza maschile, come la madre", aveva dichiarato al Corriere della Sera a proposito del libro lo scrittore, al quale nel 2016 era stato diagnosticato l'HIV. "Io stesso sono stato un corpo minore tutte le volte che mi sono sentito brutto. Se osservati attraverso il desiderio, siamo tutti corpi minori. Chi desidera lo è, un satellite che ruota attorno all'oggetto desiderato", aveva aggiunto Bazzi.

Il libro e l'amore

"Il libro l'ho scritto durante il primo e il secondo lockdown, alle prese con ciò che è accaduto in me, quando quasi tutto all’esterno si è fermato e le voci degli altri hanno preso dimora nella mia testa, intimando, giudicando", aveva scritto Bazzi lo scorso dicembre su Instagram, a corredo di una foto della copertina del libro. "È stato complicato, eppure eccolo qua. Si intitola Corpi minori, e racconta due movimenti essenziali: dalla periferia al centro e dall'amore atteso, sperato, immaginato, all'amore reale. A ciò che accade, può accadere - di oscuro, doloroso - quando le benedizioni discendono su di noi e l'amore dura, continua nel tempo. Rimane", aveva aggiunto Bazzi. Tra i protagonisti del romanzo anche Marius, suo compagno da 9 anni, e Pietro, l'ex fidanzato: "Tra le sue pagine scorrono i desideri e le storie di Pietro e di Minnie, di Dylan e di Melissa, di Nora, di Léon, di Spina e di Marius, oltre a quelli del protagonista, che per me significa soprattutto 'testimone'", aveva continuato Jonathan Bazzi. "Marius rappresenta l'amore tanto atteso e immaginato. Passati i primi mesi di idillio però, qualcosa s'incrina. Questo perché nessun esemplare può essere all'altezza della grandiosità del sogno", aveva raccontato di recente Bazzi al Corriere della Sera. Nel romanzo l'autore racconta anche i primi incontri virtuali, che a volte divenivano reali, alla ricerca dell'anima gemella: "Prima del mio compagno, peraltro conosciuto in rete, facevo ricerche su vari siti. Nei momenti di sogno romantico cercavo una persona con capelli biondi, occhi azzurri, interessata all'arte e alla letteratura, snella; altre volte uomini più grandi. Credo che ci fosse il desiderio di annullarsi in un prototipo maschile violento", aveva raccontato lo scrittore al quotidiano milanese. Il romanzo è ambientato nella sulla sua città: "È un libro su Milano - ogni capitolo porta il nome di una sua via o piazza - ed è un libro sull'amore, ovvero la più ostinata delle nostre ossessioni. Sul mostro che ogni amore - soprattutto ogni grande amore - custodisce, e qualche volta scatena", aveva aggiunto Bazzi su Instagram.

L'infanzia umile

Jonathan Bazzi è nato a Milano nel 1985, da papà Roberto e mamma Concetta, detta Tina, che si erano separati dopo soli tre anni di matrimonio. Lo scrittore è cresciuto con la madre e la sorella minore a Rozzano - nell'estrema periferia sud della città - in un contesto umile circondato dal disagio e dalla malavita locale, fino a quando la mamma aveva inziato a lavorare come donna delle pulizie, momento in cui lo scrittore era andato a a vivere con i nonni materni, Lidia e Biagio. "I privilegiati sono quelli delle villette a schiera, dove abitava Fedez e dove vivono tutt'ora i genitori. Fedez era di una classe sociale molto diversa dalla mia, i suoi avevano un bar. Per anni mi sono vergognato di casa mia, e le volte che qualcuno mi riaccompagnava a casa mi facevo lasciare nella zona delle villette. Non volevo che scoprissero che abitavo nelle case dell'Aler, troppo identificative di povertà", aveva raccontato lo scrittore al Corriere della Sera, a proposito della sua adolescenza. "Mia mamma faceva le pulizie negli uffici, mia nonna in altre case popolari di Rozzano. Da piccolo le facevo compagnia. Da grande, a 14/15 anni, ho lavorato anch'io. Andavo dalla signora delle catenelle - per la quale lavorava mia nonna e che forniva perline, ganci alle lavoranti, che a casa propria montavano le catenelle per gli occhiali - a ritirare le mie vaschette di perline e di ganci. Tornavo a casa e mi mettevo a infilare", aveva raccontato Bazzi. "Mi ha insegnato i trucchi, era ingegnosa", aveva aggiunto l'autore a proposito della nonna - scomparsa di recente a 84 anni - la quale negli ultimi anni si era allontanata da lui perché non condivideva alcuni pensieri espressi dal nipote nei suoi romanzi. Il padre dello scrittore, invece, era un poliziotto: "Non lo sento da quattro anni. Da ragazzino di solito mi portava alla mensa della caserma. Mia madre diceva: Nemmeno il pranzo vuole pagarti. Lì ho avuto la possibilità di vedere il dietro le quinte dell'arma; ho sentito i poliziotti parlare di donne e di omosessuali. In quei momenti, con quei discorsi, saltava la divisione buoni/cattivi". "Fin da quando ero piccolo - per strada o guardando la televisione - lui faceva apprezzamenti sulle donne cercando in me una spalla, una complicità cameratesca. Mi creava un grande imbarazzo, pari a quello che gli creavo io le volte che al negozio di giocattoli volevo le bambole. Il coming out diretto non l'ho mai fatto, gli ha parlato mia nonna. Tuttavia da quel momento lui si è adeguato, almeno nel linguaggio. È un uomo pieno di contraddizioni", aveva raccontato lo scrittore. Jonathan Bazzi - appassionato di tradizione letteraria femminile e questioni di genere - dopo essersi laureato in Filosofia, con una tesi sulla Teologia Simbolica in Edith Stein, nel 2015 ha iniziato a collaborare con varie testate e magazine pubblicando articoli, racconti e personal essay per varie testate e magazine, tra le quali Gay.it, Vice, The Vision, e Il Fatto.it. "Sono nato a Rozzano ma non so menare: leggo, scrivo, balbetto, mi piacciono i maschi. Ho contratto l'HIV ma non sono il paziente che prende atto e si adegua, che convive con un segreto che centuplica l'importanza della diagnosi. Da autodidatta ho dovuto imparare a rifiutare l'interpretazione fornita dagli altri. Lo scollamento dei valori comuni l'ho capitalizzato, e mi è tornato utile. Strategie di sopravvivenza primaria, i benefici dell'emarginazione precoce", aveva raccontato lo scrittore, che aveva scoperto di essere sieropositivo sei anni fa.

Jonathan Bazzi e la scoperta dell'HIV

Jonathan Bazzi nel 2019 aveva pubblicato il suo primo libro autobiografico Febbre - vincitore di numerosi premi e finalista al Premio Strega 2020 - che partiva dalla scoperta dell'HIV e spaziava tra l'omosessualità e la vita nella periferia milanese. Il titolo dell romanzo di Jonathan Bazzi trae spunto da quella febbre persistente e logarante che a gennaio del 2016 aveva accompagnato per quasi un mese il protagonista, poco prima della scoperta della sua sieropositività: "Nel libro l'HIV è un espediente per raccontare molto altro; non volevo lasciargli tutta la scena perché non sarebbe stato giusto", aveva raccontato lo scrittore, che aveva temuto per il fidanzato, il quale fortunatamente era risultato negativo al test. "È una febbre che dal punto di vista del fenomeno fisico dura alcune settimane, ma se la si guarda in ottica metaforica, che estende il significato principale della febbre come meccanismo di difesa del corpo, diventa qualcosa che abbraccia tutte le storie che sono contenute nel libro", aveva detto Jonathan Bazzi a Open Online. Lo scrittore aveva dedicato il suo romanzo ai "bambini invisibili", coloro che "sono cresciuti senza figure affettive che si sono prese cura di loro, ma anche tutti quei bambini che non vengono visti nella loro qualità di bambini e sono costretti a subire circostanze e situazioni tipiche dell’età adulta. Io sono stato uno di loro". A proposito del riscontro della sua famiglia al suo romanzo, lo scrittore aveva detto a Vanity Fair: "Non c'è stato un confronto diretto e puntuale sui contenuti, quindi non so l'effetto che abbia avuto su mia madre. Mia sorella mi ha detto che lo ha letto molto lentamente, perché è stato intenso per lei, ma credo, però, che questa mancanza di comunicazione abbia una certa coerenza con la mia storia. Ho un buon rapporto con mia madre; lei e mia sorella sono i membri della mia famiglia con cui ho più contatti".

Jonathan Bazzi aveva conosciuto il compagno Marius - che lavora come stylist - nel 2013, parlando del quale aveva detto al Corriere della Sera: "Sto con Marius da nove anni, e di sicuro lo yoga mi ha aiutato. Ha trasformato il mio corpo, equilibrando la parte femminile con quella maschile fuori e dentro. Spesso io e Marius veniamo scambiati per fratelli, dicono che ci somigliamo". Ricordando il loro primo incontro, lo scrittore in un post su Instagram aveva raccontato: "Un appuntamento come un altro, in un'epoca in cui si conoscono decine di persone al mese, alla settimana. Solo che a noi è successa subito questa cosa che dura ancora oggi. Abbiamo iniziato a vivere insieme dopo una settimana, e siamo arrivati fin qui. In mezzo ci sono stati baci, traslochi, pianti, passeggiate lunghissime, gelati, lavori trovati e persi, diagnosi, canzoni, spaventi mortali, traumi. I primi anniversari e ora questa quarantena trascorsa in trenta metri quadrati". “Eravamo due ragazzi che non sapevano come si fa; ci abbiamo provato, col nostro passo a volte attento, a volte sgraziato. Ci proviamo sempre, non smettiamo ancora oggi di farlo", aveva aggiunto Jonathan Bazzi. "Sorrido quando dicono Il tuo compagno: io non ho compagni, non avrò mai compagni o mariti, qualsiasi cosa accadrà per le istituzioni o la burocrazia. Ho un ragazzo, siamo due ragazzi, che fuori da ogni regola o previsione, si sono scelti, e hanno attraversato valanghe e maremoti, riempiendosi di graffi, zoppicando talvolta, ma arrivando sempre in un modo o nell'altro a mettere in salvo il segreto abbagliante in cui si sono imbattuti quel pomeriggio di aprile del 2013, mentre il cielo sopra i giardini di Porta Venezia si riempiva di nubi, e le nostre parole si sono riconosciute, nonostante tutto e tutti", aveva concluso Bazzi, che si definisce "sessualmente fluido": "Non mi sento uomo e non mi sento donna e, se mi si chiede di raccontarmi, non posso che parlare di uno spazio-altro". "Per me la scrittura è un uso totale di tutto quello che vedo. Un utilizzo brutale, ammetto, che non prevede steccati, neppure gli affetti mi fermano", aveva raccontato lo scrittore al Corriere della Sera.

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