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LA RIFLESSIONE
15 giugno 2020

Angelina Jolie sul razzismo: "Un sistema che protegge me e non mia figlia è intollerabile"

L'attrice esprime le sue paure da madre "bianca e privilegiata" di figli asiatici e africani, tra cui l'etiope Zahara, 15 anni: "Abbiamo bisogno di leggi e politiche che affrontino davvero il razzismo"

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Angelina Jolie sul razzismo: "Un sistema che protegge me e non mia figlia è intollerabile"

In una rara intervista ad Harper's Baazar UK, Angelina Jolie parla delle ricadute del coronavirus nella società, dell'importanza di proteggere i più deboli, ma anche del razzismo. Un tema che le sta molto a cuore essendo madre adottiva di due figli asiatici, Maddox e Pax, e di una bambina africana, Zahara, di origine etiope (ha anche tre figli naturali, più piccoli: Shiloh, 13 anni, e i gemelli Vivienne e Knox, 11). L'attrice e attivista ha spiegato che è proprio crescendo una figlia di colore che si è resa conto dei suoi privilegi di donna bianca: "Un Paese che protegge me e non mia figlia, o qualsiasi altro uomo, donna o bambino sulla base del colore della pelle, è intollerabile", ha dichiarato Angelina Jolie riferendosi alla sua terza figlia adottiva, Zahara Marley Jolie Pitt, nata nel 2005 in un campo profughi in Etiopia, uno dei Paesi più poveri dell’Africa, adotatta da Angelina Jolie e Brad Pitt quando aveva 6 mesi. "Dobbiamo svegliarci. Progredire e andare oltre le buone intenzioni. Abbiamo bisogno di leggi e di politiche che affrontino davvero il razzismo, che ne eliminino l’impunità", prosgue l'attrice, che è anche ambasciatrice di buona volontà delle Nazioni Unite. Poi l'attrice riconosce l'importanza "fondamentale" del movimento Black Lives Matter: "Sta aiutando il mondo a risvegliarsi, e le persone stanno arrivando a una consapevolezza sempre più profonda all’interno delle società. Siamo come a una resa dei conti. È il momento di cambiare davvero le nostre istituzioni e le leggi, ascoltando le persone più deboli e le cui voci finora sono state inascoltate". E conclude: "Dopo tanti anni passati lavorando all’estero, nei campi profughi e nelle zone di crisi, è come se la pandemia mi avesse riportato a concentrarmi sul mio Paese. Ma i problemi internazionali e quelli locali sono collegati. Io almeno li vedo così. I 70 milioni di persone che nel mondo hanno dovuto lasciare le loro case per la guerra e le persecuzioni non sono separati dalle vittime del razzismo e della discriminazione negli USA".

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